L’ego, il corpo e la verità: la danza hip hop che ti obbliga a guardarti allo specchio | Al Piccolo Bellini di Napoli

Dal palco direttamente all’anima, una performance potente e viscerale che ribalta ogni maschera sociale imposta

C’è un momento in cui l’arte non si limita più a intrattenere, ma comincia a scavare. A graffiare. A smascherare. È esattamente questo ciò che accade in L’Ego, lo spettacolo coreografato da Fritz Zamy, nome di culto della scena house italiana, in scena al Piccolo Bellini di Napoli dal 28 al 30 marzo. Una vera e propria deflagrazione di energia che mescola la potenza fisica della street dance con una riflessione profonda sull’identità, sull’ego e sul bisogno disperato di essere autentici in una società che ci vuole tutti uguali.

Lontano da ogni edulcorazione estetica, L’Ego esplode in una tempesta di movimenti sincopati, muscoli in tensione, corpi che sfidano la gravità e l’omologazione. In scena, sei danzatori – Volodymyr Bambenkov, Antonio Bollito, Fabrizio Guerra, Mattia Martino, Errico Riccardi, Salvatore Russo – si trasformano in veri guerrieri del gesto, dando vita a una coreografia che ha il ritmo pulsante dell’anima urbana e la forza primitiva di un rito collettivo. Non è solo danza, è una dichiarazione. Un atto liberatorio.

Con un impianto coreografico che attinge ai linguaggi della breaking, del popping e del locking, Zamy costruisce una narrazione visiva che va oltre il semplice virtuosismo. Ogni passo, ogni scatto, ogni rotazione è un gesto politico e intimo allo stesso tempo. Il palco diventa il campo di battaglia di una lotta interiore: quella tra ciò che siamo e ciò che ci costringiamo ad essere per piacere, per aderire, per sopravvivere. Il risultato è un’ora di pura adrenalina, che scuote lo spettatore fino a rendergli impossibile restare indifferente.

Quando il corpo diventa specchio dell’anima

Lontano dalla danza da manuale e dagli schemi preconfezionati dell’intrattenimento, L’Ego pone il corpo al centro di un’indagine sull’autenticità. I movimenti, mai banali, si fanno spigolosi, liquidi, a tratti furiosi. Ma sempre necessari. In scena non c’è finzione: i danzatori non “interpretano” qualcosa, lo vivono. E in quella carne che vibra, trema, si contorce e si libera, lo spettatore riconosce qualcosa di sé.

Il titolo stesso è una provocazione: L’Ego come prigione e come forza, come scudo e come ferita. La maschera sociale che indossiamo ogni giorno viene strappata via sotto i colpi dei beat e della potenza visiva. L’identità, qui, si gioca tutta nel conflitto tra l’individuo e il collettivo, tra il bisogno di affermarsi e la necessità di ritrovare una verità più profonda, più primitiva. Quella che pulsa nel sangue e si manifesta in una danza.

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Avant-garde dance company: una voce che rompe il silenzio

La compagnia Avant-Garde, sotto la direzione artistica di Fritz Zamy e con la produzione Interno5 danza, si conferma come uno dei gruppi più visionari e coraggiosi della scena contemporanea italiana. Con L’Ego, firma un progetto che non ha paura di sporcarsi, di essere crudo, scomodo, ma terribilmente umano. E proprio per questo, necessario.

È un invito a lasciarsi andare, a sentire il battito sotto la pelle, a scendere nel profondo delle proprie contraddizioni. A riscoprire che, sotto ogni strato di conformismo, esiste ancora un cuore che sa battere al ritmo della verità. L’Ego è un pugno nello stomaco e una carezza sulla coscienza. E alla fine, non sei più lo stesso.