The Electric State, il fallimento della fantascienza moderna: quando l’IA non sa più stupire

Un racconto sci-fi che sembra già obsoleto, tra cliché e un’intelligenza artificiale che non ha più nulla da dire
Cosa rende un film di fantascienza davvero avvincente? La capacità di farci immaginare il futuro? L’abilità di trasformare la tecnologia in una metafora potente? O semplicemente la costruzione di un mondo che sappia sfidarci intellettualmente ed emotivamente? The Electric State, l’ultima opera dei fratelli Russo, sembra fallire in tutti questi aspetti, proponendo una storia che, invece di innovare, si rifugia in un immaginario che ha già detto tutto.
Il film, basato sul romanzo illustrato di Simon Stålenhag, parte con un presupposto intrigante: una giovane donna (Millie Bobby Brown) attraversa un’America post-apocalittica in compagnia di un robot, cercando di ritrovare suo fratello scomparso. Sullo sfondo, un mondo in cui l’Intelligenza Artificiale ha scatenato una guerra tra uomini e macchine. Un’idea che potrebbe aprire le porte a una riflessione profonda, ma che si perde tra immagini già viste e personaggi che non lasciano il segno.
Il primo grande limite di The Electric State è la sua incapacità di offrire qualcosa di nuovo. L’idea di un’IA ribelle che si scontra con l’umanità è stata esplorata da decenni, da Terminator a Matrix, passando per Blade Runner. Ma mentre quei film hanno saputo evolversi con il tempo e adattare la narrazione alle paure tecnologiche delle loro epoche, qui l’IA è ridotta a un nemico generico, senza sfumature. Non c’è una vera esplorazione del suo ruolo nel mondo moderno, nessuna riflessione su come stia effettivamente trasformando le nostre vite.
Visivamente, il film è un’operazione che mescola atmosfere alla Mad Max con scenari da distopia anni ’80. Ma se da un lato questo potrebbe risultare affascinante, dall’altro il risultato appare più un’imitazione che una creazione originale. I colori desaturati, le immense distese desertiche e i frammenti di un passato tecnologico abbandonato creano un mondo che sembra funzionare solo in superficie. La fotografia è curata, ma manca il senso di meraviglia o di inquietudine che un racconto di questo tipo dovrebbe evocare.
Un cast sprecato
Millie Bobby Brown, nel ruolo della protagonista Michelle, porta sullo schermo un personaggio che avrebbe potuto essere memorabile, ma che invece si perde in una scrittura piatta e priva di sfaccettature. Chris Pratt, nei panni del veterano Keats, non riesce a dare spessore al suo ruolo, rimanendo bloccato in una performance priva di mordente. Il robot Herman, interpretato da Martin Klebba con la voce di Anthony Mackie, è forse l’unico elemento che riesce a donare un minimo di carisma al film, ma non basta a salvare l’intera operazione.
Se c’è una cosa che The Electric State dimostra chiaramente, è che la rappresentazione dell’Intelligenza Artificiale nel cinema ha bisogno di una svolta. Per decenni l’IA è stata usata come metafora per riflettere sulle paure dell’umanità: dal timore della perdita di controllo alla lotta per l’identità. Ma oggi l’IA non è più solo una speculazione futuristica: è una realtà con cui conviviamo ogni giorno. Continuare a trattarla come una minaccia distante e astratta significa non cogliere il suo vero impatto. In un’epoca in cui ChatGPT può scrivere saggi, algoritmi decidono chi ottiene un prestito e auto a guida autonoma sono sempre più vicine alla realtà, il cinema dovrebbe proporre narrazioni più intelligenti e radicate nel presente. The Electric State spreca questa opportunità, riducendo l’IA a un cliché da blockbuster, senza aggiungere nulla al discorso.

Una fantascienza senza anima
Se la fantascienza serve a immaginare il futuro e a farci riflettere sul presente, The Electric State fallisce su entrambi i fronti. È un film che si accontenta di ripetere idee già viste, senza la volontà di spingersi oltre. Per uno spettatore moderno, che vive immerso nella tecnologia, questa visione dell’IA appare obsoleta e priva di rilevanza.
Forse è tempo che il cinema smetta di usare l’Intelligenza Artificiale come un semplice pretesto narrativo e inizi a trattarla per quello che è realmente: uno strumento potente, complesso e profondamente umano nelle sue implicazioni. Fino ad allora, continueremo a vedere film come The Electric State: affascinanti in superficie, ma vuoti nel loro cuore narrativo.