Il calamaro gigante travolge il Teatro Manzoni di Milano, una tempesta interiore tra paura e risate con Angela Finocchiaro

Un’immersione nell’inconscio: Il calamaro gigante è lo spettacolo che fa ridere mentre svela le nostre paure più profonde.

Un’opera teatrale che si muove tra il comico e il surreale, tra il reale e l’irrazionale, riuscendo a trascinare lo spettatore in un viaggio che diverte ma al tempo stesso lascia un senso di inquietudine. “Il calamaro gigante” non è solo uno spettacolo, ma un’esperienza che mette in discussione il nostro rapporto con la paura, l’incertezza e il desiderio di controllo. Alla prima del Teatro Manzoni di Milano gli applausi si sono susseguiti senza sosta.

A prima vista, si potrebbe pensare a una semplice commedia. Le battute serrate, il ritmo incalzante e la protagonista, nevrotica e brillante come solo Angela Finocchiaro sa fare, fanno ridere e coinvolgono il pubblico. Ma dietro le risate si nasconde qualcosa di più profondo. La storia di una donna che cerca rifugio nella razionalità, nell’ordine e nelle certezze di una vita regolata da moduli e polizze assicurative, diventa il pretesto per esplorare l’irrazionalità che si insinua tra le crepe delle nostre sicurezze.

Questa dicotomia tra il desiderio di prevedibilità e l’imprevedibilità della vita si riflette nella messa in scena. I teli bianchi, mossi dagli attori, non sono solo elementi scenografici: diventano metafore delle onde dell’inconscio, dell’oceano delle emozioni che ci travolge quando meno ce lo aspettiamo. Un teatro che danza, che crea illusioni, che ci immerge in un universo onirico dove il comico e il drammatico si fondono continuamente.

La protagonista, con le sue battute taglienti, è una moderna Ulisse che cerca di razionalizzare il proprio viaggio, ma come ogni eroe epico deve fare i conti con i mostri che emergono dal profondo. Il calamaro gigante diventa così la personificazione delle paure che cerchiamo di evitare, ma che inevitabilmente finiscono per ghermirci.

L’inconscio prende forma

Sul palco non c’è solo la protagonista: il teatro-danza e le proiezioni digitali amplificano il senso di spaesamento, creando un connubio perfetto tra narrazione e immaginazione. L’ombra di un corpo si trasforma in una nave in tempesta, mentre tentacoli digitali si allungano sullo schermo come proiezioni delle paure più oscure.

In questo scenario ipnotico, emerge la figura della nonna, quasi un’ancora di saggezza che invita ad accettare l’irrazionale. Ma il viaggio della protagonista è tutt’altro che rassicurante: la sua fuga dalla paura la porta dritta al cuore dell’incubo.

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La battaglia con il mostro interiore

Quando la realtà si scontra con il mondo interiore, lo spettacolo prende una svolta inaspettata. Il personaggio di Montfort, interpretato magistralmente da Bruno Stori, esploratore e scienziato, rappresenta un alter ego razionale che cerca di dare un senso logico al caos. Ma in un universo dove il confine tra sogno e realtà si assottiglia sempre più, la vera sfida diventa accettare che non esistono risposte assolute.

Il finale abbandona qualsiasi consolazione. Nessun lieto fine, nessuna certezza: solo la consapevolezza che il viaggio continua, e che il vero mostro non è la creatura che emerge dal mare, ma quello che si annida dentro di noi.