A Complete Unknown, Timothée Chalamet incanta come Bob Dylan: un biopic che unisce genio musicale e dilemmi umani

Il viaggio nella vita di Bob Dylan rivela un talento straordinario, ma lascia aperte molte domande personali

Timothée Chalamet si immerge magistralmente nel ruolo del giovane Bob Dylan in “A Complete Unknown”, un biopic diretto da James Mangold che esplora i primi, turbolenti anni della carriera del leggendario cantautore. Con un carisma naturale e un’abilità innata, Chalamet restituisce il fascino inquieto di Dylan, catturandone la gestualità disinvolta e il timbro vocale unico. Ogni nota di chitarra, ogni soffio nell’armonica è carico di passione, quasi come se Dylan stesso rivivesse sullo schermo. Ma il film, come suggerisce il titolo, non tenta di rivelare l’uomo dietro la leggenda, lasciando il pubblico ad affrontare il mistero del personaggio.

Mangold sceglie di concentrare la narrazione su Dylan come fenomeno culturale, esplorando l’impatto della sua ascesa fulminea nel panorama musicale degli anni ’60. Questa decisione, se da un lato rende omaggio alla sua influenza straordinaria, dall’altro si traduce in un ritratto che volutamente evita l’introspezione. Dylan appare come un giovane talento precoce ma inaccessibile, protetto da una maschera di enigmatica disinvoltura e identità assunte. Questo approccio richiama il lavoro di Todd Haynes in “I’m Not There”, ma Mangold adotta un tono più convenzionale, puntando sull’evocazione di un’epoca piuttosto che sulla sperimentazione narrativa.

La relazione tra Dylan e Sylvie Russo (interpretata da Elle Fanning e ispirata a Suze Rotolo, la sua partner dell’epoca) rappresenta un fulcro emotivo del film. Attraverso scambi di dialogo che rivelano il crescente distacco tra i due, emerge il tema della trasformazione personale e del sacrificio necessario per il successo artistico. Sylvie, in un momento cruciale, sottolinea quanto poco conosca realmente Dylan, una verità che risuona lungo tutto il film e rafforza l’idea di un protagonista sfuggente e inafferrabile.

Il film si ispira al libro di Elijah Wald, “Dylan Goes Electric!”, e culmina nella controversa esibizione di Dylan al Newport Folk Festival del 1965. Questo momento, reso con intensità da Mangold, rappresenta il punto di rottura tra il Dylan tradizionale del folk e il pioniere del rock elettrico. Tuttavia, alcune scelte narrative, come dialoghi eccessivamente espliciti, rischiano di appesantire il racconto, privandolo di parte della sua potenza.

La musica come arma e mezzo di rivoluzione

Uno degli aspetti più riusciti del film è la rappresentazione del potere trasformativo della musica. Brani come “The Times They Are a-Changin’” coinvolgono il pubblico con un’energia galvanizzante, mentre la dinamica tra Dylan e Joan Baez (interpretata da Monica Barbaro) aggiunge profondità emotiva alla narrazione. Le loro armonie, intrise di dolcezza e rimpianto, trasmettono una tensione palpabile, rendendo ogni esibizione memorabile.

Mangold riesce a catturare l’essenza del periodo con una cura maniacale per i dettagli. La scena musicale del Greenwich Village è ritratta come un microcosmo pulsante di creatività, offrendo una prospettiva vibrante e ottimista. Questa ambientazione fa da contrappunto al dramma personale di Dylan, sottolineando il contrasto tra il suo successo pubblico e la sua complessità interiore.

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Un ritratto affascinante ma imperfetto

“A Complete Unknown” riesce a evocare con maestria un momento cruciale nella carriera di Dylan, ma la sua scelta di mantenere il protagonista enigmatico può risultare frustrante. Timothée Chalamet brilla in una performance che unisce intensità e vulnerabilità, ma il film lascia volutamente molte domande senza risposta. Questo approccio, sebbene coerente con il titolo, potrebbe alienare chi cerca una narrazione più intima.

Nel complesso, il film celebra la straordinaria eredità musicale di Dylan, offrendo momenti di pura ispirazione. La sua musica diventa un linguaggio universale che trascende il tempo, ricordando al pubblico il potere delle parole e delle melodie di cambiare il mondo. E proprio come il giovane Dylan sul palco, “A Complete Unknown” affascina e provoca, lasciando un segno indelebile.