Emilia Pérez, il film di Jacques Audiard che promette rivoluzione e finisce in un triste cliché

Jacques Audiard sembra voler fare un grande cambiamento, ma finisce per ripetersi in cliché stucchevoli.

Quando si parla di cinema d’autore, le aspettative sono sempre alte, soprattutto se il regista è Jacques Audiard, un nome che promette sfide visive e narrative. Con Emilia Pérez, il regista francese aveva tutte le carte in regola per proporre qualcosa di mai visto, un racconto audace, un po’ folle, capace di scuotere le fondamenta del genere. Ma il risultato è tutt’altro che originale. Un film che avrebbe potuto sfidare le convenzioni finisce invece per rimanere bloccato nei suoi cliché più banali.

L’inizio del film è emblematico: la scena che apre Emilia Pérez è una di quelle che urla “Messico” senza pudore, con un’inquadratura su un gruppo di mariachi. Niente di nuovo, niente di provocatorio, solo un’idea spinta dal “ciò che ci si aspetta”. Ecco, questo è il tema centrale del film: l’assenza di sorprese, di veri colpi di scena. Audiard, invece di immergersi in territori inesplorati, si rifugia in un discorso ripetitivo che racconta, anziché mostrare, i suoi temi principali.

Il risultato è un film che non lascia spazio all’immaginazione del pubblico. Ogni aspetto della storia è così esplicitato, che il rischio di annoiarsi è sempre in agguato. Non ci sono sfumature, non ci sono momenti di incertezza. Il messaggio arriva con la forza di un martello, senza che il pubblico possa fare nulla per evitarlo.

La protagonista, Rita, è un avvocato con un cuore che grida per il cambiamento, e lo fa capire a suon di canzoni, parole e azioni che vengono messe in scena con una sfrontatezza fastidiosa. Eppure, l’elemento che dovrebbe emergere come il vero cambiamento del film, ovvero la transizione di Manitas Del Monte, non riesce a scuotere davvero.

Il problema dei cliché in un film che doveva essere innovativo

Ciò che davvero colpisce in Emilia Pérez è come Audiard sfrutti i cliché più triti senza mai cercare di sovvertirli. La figura del signore della droga, Manitas, è trattata con la stessa superficialità di tanti altri film, senza cercare una vera introspezione. La sua transizione di genere, che avrebbe potuto essere il cuore del film, viene trattata come un semplice espediente narrativo, un pretesto per altre discussioni. Il film non riesce a distaccarsi da questa visione banale e ridondante, che fa più male che bene.

Anche il tema del cambiamento, che dovrebbe essere il punto focale della storia, viene completamente svuotato di significato. Le promesse di ribaltare il mondo, cambiare la società, si rivelano vuote parole in un contenitore troppo prevedibile. Non basta dire “Emilia, tu stai cambiando il mondo” per farlo diventare realtà. Senza un’effettiva evoluzione narrativa o emotiva, queste frasi perdono di valore, e il film diventa un continuo rimanere nella stessa zona di comfort.

Emilia_Perez_–_fortementein.com

Audiard e la sfida mancata: un film che non osa davvero

La mancanza di audacia in Emilia Pérez è forse la sua delusione più grande. Audiard, regista noto per il suo coraggio nel trattare temi complessi e per la sua capacità di lavorare con attori e scenari culturalmente diversi, qui si è accontentato di raccontare una storia che sembra fin troppo familiare. L’elemento musicale, che avrebbe potuto essere l’anima del film, diventa solo un altro veicolo per ribadire concetti già detti. Le canzoni sono forse il punto di maggior interesse, ma neanche la loro presenza riesce a salvare il film dalla piattezza narrativa che lo caratterizza.

In un contesto di tale opacità, Emilia Pérez si riduce a una serie di situazioni che avrebbero potuto generare un’effettiva riflessione, ma che si risolvono in un balletto di immagini che non riescono mai ad andare oltre la superficie. Il regista, pur avendo buone intenzioni, non riesce mai a fare il salto decisivo. Il risultato è un film che si limita a raccontare e ripetere anziché a esplorare nuovi territori, lasciando il pubblico a chiedersi che tipo di esperienza ci sarebbe stata se Audiard avesse osato di più. Alla fine, Emilia Pérez lascia un senso di incompiutezza. La promessa di un cinema che sfida le convenzioni si dissolve in un film che non riesce a sorprendere né ad emozionare veramente. Poteva essere un’innovazione, ma si perde in un gioco di ripetizioni che non lascia nulla di nuovo. Un’occasione mancata, un film che avrebbe potuto cambiare le regole del gioco, ma che si accontenta di restare nel già visto.