Teatro

Il grande vuoto al Bellini di Napoli, come trasformare in arte il dolore?

Giusi Merli ph: Laila Pozzo

Al teatro Bellini di Napoli è in scena fino al 10 novembre lo spettacolo “Il grande vuoto” di Fabiana Iacozzilli con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e, per la prima volta in scena, Mona Abokhatwa.

La memoria è tra i beni più preziosi che si hanno nella vita, ma molto spesso tendiamo a darla per scontata. Per una persona sana è normale ricordare le cose, ricordare le persone, ricordare i gesti o cosa ha fatto il giorno prima. Diverso è per una persona affetta da Alzheimer ricordare tutto questo è molto difficile e diventa praticamente impossibile con l’avanzare della malattia. Si diventa come automi, incapaci di compiere anche i più semplici gesti quotidiani e si è sempre più disorientati. E’ un grande vuoto, proprio come dice il titolo dello spettacolo di Iacozzilli.

L’autrice si chiede se sia possibile trasformare in bellezza tutto il dolore che deriva dalla malattia, la figura al centro della storia è la madre di famiglia e tutto inizia con quello che inizialmente sembra un prologo alla storia ma che, considerato lo sviluppo della vicenda corrisponde probabilmente a un ricordo. I due personaggi che compaiono all’inizio sono una coppia in età avanzata che sta andando a casa dopo alcune commissioni, in sella a una panda rossa tutta sgangherata ma che, scopriamo presto, li ha accompagnati per tutta la vita. Dal loro dialogo capiamo che hanno due figli, Pietro il preferito della madre e Francesca la preferita del padre. A un certo punto si dividono una sigaretta e sulle note di “Una sigaretta” di Fred Buscaglione la macchina con il marito viene portata via e intorno alla moglie si allestisce una seconda scenografia che rappresenta una sala da pranzo.

La vicenda si svolge in modo semplice con i figli Francesca e Pietro che mangiano la zuppa con la madre e fino a questo momento sembra tutto normale, la mamma racconta un aneddoto di gioventù, del periodo in cui faceva l’attrice e andò in trasferta a San Pietroburgo. Racconta la storia maneggiando una matrioska che ha comprato in quel periodo. Fino a questo punto tutto è apparentemente normale, se non fosse che a un certo punto la donna inizia a ripetere lo stesso aneddoto, non riconosce i figli e in generale il suo atteggiamento è più inquieto. La semplice rappresentazione di una scena quotidiana ci racconta in modo efficace cosa vuol dire la vita di tutti i giorni con una persona affetta da Alzheimer.

Se il racconto si fermasse a questo punto con l’aggiunta del finale dello spettacolo, che vede un momento di gioco tra madre figli e badante Il grande vuoto sarebbe un lavoro perfetto, in qualche modo preciso e puntuale. Purtroppo vi sono delle scene a mio avviso superflue, come l’inserimento di video che mostrano situazioni in altre stanze della casa, chiaramente girati prima, e che servono a raccontare il disorientamento, il grande vuoto appunto vissuto dalla madre con la voce fuori scena della figlia che racconta di aver dovuto mettere delle telecamere in casa, di quelle che si usano per i cani e rilevano ogni movimento. La scelta di questo momento, per quanto toccante, mi risulta superflua dal momento che con la scena del pranzo e quella precedente del prologo è già tutto perfettamente chiaro e altrettanto commovente.

Quel che resta di una famiglia

Nella vita di ciascuno ci sono dei momenti cardine che purtroppo segnano e cambiano la persona e poi l’intera famiglia. Uno di questi momenti è la perdita di un genitore, come dice il personaggio di Francesca a un certo punto: “a me mette ansia questa cosa che da un momento all’altro su può morire”. La storia qui inizia con la morte di un padre e prosegue con la presenza – assenza di una madre. La perdita di qualcuno che si ama può avere molte forme, perdiamo un genitore perché muore ma possiamo perderlo anche perché questi perde la memoria, l’ancora che tiene salda la narrazione di una vita e senza quella sembra che tutto sfumi.

La famiglia raccontata in questo spettacolo è una famiglia che si sgretola poco alla volta perché un pilastro non c’è più e l’altro traballa, ma quello che ogni essere umano cerca di fare nella vita e che l’autrice qui esprime molto bene, è di aggrapparsi a tutto ciò che di bello è rimasto, anche una matrioska, ricordo di un viaggio passato e di giochi futuri. Lo spunto per ricordare e per stare insieme.

Giusi Merli e Ermanno De Biagi
ph: Laila Pozzo

La vecchiaia

Il grande vuoto fa parte della trilogia del vento, nella quale l’autrice esplora alcune tappe della vita, l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere (La classe); la maturità e il rapporto con la genitorialità e la cura (Una cosa enorme) e, infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria (Il grande vuoto). Attraverso questi progetti l’autrice si interroga su quello che resta di una famiglia e delle singole persone che la compongono. Quando tutto finisce e le persone non ci sono più, lasciano qualcosa? E se è così cosa si può fare di queste tracce?

Di certo lo spettacolo ci porta a riflettere su tante cose della vita e sicuramente la materia narrata ci tocca tutti perché tutti quanti abbiamo perso qualcuno, oppure abbiamo avuto un parente affetto da una malattia neurodegenerativa. Commuoversi è difficile, soprattutto nella prima parte dello spettacolo, mentre nella seconda parte c’è come un effetto di straniamento che ci porta fuori dalla storia e ci mostra una scena giocosa e divertente che forse vuole darci uno schiaffo e riportarci paradossalmente alla realtà.

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