Parthenope, la bellezza come ossessione nell’ultimo sogno visivo di Sorrentino: la recensione di un capolavoro
L’ultimo film di Paolo Sorrentino, Parthenope, esplora la bellezza con una trama sospesa tra sogno e realtà, enfatizzando stile ed estetica.
Paolo Sorrentino, regista noto per il suo stile ricco e suggestivo, torna a incantare con Parthenope, un film che porta l’estetica a un livello dominante, creando un’opera visivamente affascinante ma criticata per l’attenzione prevalente allo stile.
Sorrentino immerge lo spettatore in un universo lussureggiante e soleggiato, quasi sospeso tra sogno e realtà, presentando la storia di una giovane donna con un passato travagliato e una passione tormentata per la bellezza.
La storia si svolge in una Napoli scintillante e perennemente soleggiata, dove Parthenope, interpretata da Celeste Dalla Porta, porta avanti un’esistenza divisa tra una carriera accademica e un desiderio di successo nel mondo del cinema. Parthenope è una giovane donna appartenente a una famiglia benestante, segnata da un tragico passato e dalle attenzioni incestuose dei fratelli maggiori, che la consideravano un’icona di bellezza.
In un mondo che esalta la bellezza esteriore, Parthenope sembra incapace di connettersi profondamente con le persone, inclusi il suo professore di antropologia e un figlio nascosto con cui ha un incontro ricco di simbolismi. Questo elemento porta un tocco di surreale al film, enfatizzando lo stile distintivo del regista, che gioca con le immagini e le emozioni in un flusso continuo di visioni poetiche.
La ricerca della propria identità
Parthenope si trova a un bivio tra l’ambiente accademico e il mondo della recitazione, dove viene guidata da Flora Malva, ex stella del cinema ora diventata coach eccentrica. Gli incontri di Parthenope, dai mentori a una famosa attrice di Napoli che disprezza il pubblico, sembrano suggerire una critica ai valori contemporanei e alla devozione per il proprio aspetto.
A completare il quadro vi è un incontro con John Cheever, scrittore tormentato interpretato da Gary Oldman, che aggiunge un tocco tragico alla ricerca di Parthenope di qualcosa che possa arricchire il suo vuoto interiore.
Conclusioni su Parthenope e il messaggio finale
Sorrentino gioca con il visivo e l’immaginario, eppure sembra farlo a scapito dell’intensità emotiva. Le immagini, pur perfettamente composte, finiscono per oscurare l’aspetto narrativo, limitando l’immedesimazione dello spettatore nella storia di Parthenope. A tratti, Parthenope si trasforma quasi in uno spot pubblicitario di lunga durata, con inquadrature che celebrano uno stile di vita lussuoso e irraggiungibile.
Parthenope affascina per il suo stile e per la bellezza delle sue immagini, ma forse lascia un vuoto emotivo. È un’opera che esalta la bellezza visiva, ma la domanda rimane: la forma può davvero sopperire alla mancanza di sostanza?