Babygirl, il film in concorsa a Venezia con Nicole Kidman: più che un thriller erotico un melodramma scadente
In concorso alla Mostra del Cinema di Venezia c’è Babygirl di Halina Reijin che segna il ritorno di Nicole Kidman a Venezia dopo 20 anni dalla sua ultima volta al Lido con Birth di Jonathan Glazer, ma forse avrebbe fatto bene a pensarci due volte con un film del genere.
Il film viene presentato come un thriller erotico ma qui di thriller e di erotismo troviamo solo una pallida imitazione. La storia è quella dell’amministratrice delegata (Romy) di un’importante azienda specializzata in nuove tecnologie. Nicole Kidman interpreta la classica donna di successo che ha tutto dalla vita, carriera e famiglia, un marito amorevole che fa il regista teatrale (Antonio Banderas) e due figlie e tutti insieme sembrano la famiglia del mulino bianco.
Prevedibilmente questo “tutto” non è abbastanza e lei è in cerca di nuovi stimoli, soprattutto nel sesso. Quest’ultimo è il pretesto narrativo che la regista usa, ha dichiarato, per raccontare una storia che parla di desiderio e di quello femminile in particolare. Purtroppo anche il desiderio qui è poco, c’è solo tanta frustrazione della protagonista, mal celata e mal risolta che non fa altro che irritare.
Romy non riesce a provare un orgasmo con suo marito e i suoi problemi con lui finiscono qui perché di fatto non si approfondisce nessun altro conflitto. Dopo i rapporti con lui Romy ha bisogno di darsi piacere guardando un porno per trovare la degna conclusione dell’amplesso. Come nei peggiori polpettoni melodrammatici e costruiti sul niente basterebbe che i personaggi si parlassero per far finire lo strazio a cui siamo sottoposti ma invece arriva il classico ragazzo giovane e bello, neanche a dirlo lo stagista di turno, che saprà dare a Romy gli orgasmi tanto desiderati.
Lui è Samuel (Harris Dickinson, vedetelo piuttosto in Triangle of Sadness vincitore della palma d’oro a Cannes nel 2022) un giovane uomo sfrontato e anche un po’ insolente che fin dal primo momento imposta con Romy un rapporto da master and slave e quest’ultima può finalmente dare libero sfogo ai suoi desideri più nascosti ma il risultato finale sarà una barzelletta.
Thriller erotico? Fa più impressione la Disney
A leggere che si tratta di un thriller erotico e poi trovarsi di fronte questa “cagata pazzesca”, per citare Fantozzi, viene da ridere considerato che le scene “sadomaso” si limitano a lui che ordina a lei di inginocchiarsi per bere il latte da una ciotola prima di avere un rapporto completo, oppure lui che le impone di girarsi mentre la tocca. Stop. Questo è tutto ciò che vedrete, niente cera bollente, bondage o altro del genere. Potenzialmente potrebbe essere un film per famiglie. È come se la regista avesse avuto paura di spingere sull’acceleratore dopo aver promesso tensione ed erotismo a gogo, addirittura a livelli tali dal compromettere famiglia e carriera della protagonista.
E invece il film finisce come inizia, encefalogramma piatto, Romy si diverte per un po’ con lo stagista che per fare il duro ogni tanto la minaccia, attenzione, non di dire tutto ai capi e di farle perdere il posto ma di chiedere il trasferimento altrove. A un certo punto la stessa Romy racconterà tutto al marito, il quale farà un po’ di moine e poi tornerà piangendo da lei e (finalmente!) inizieranno a comunicare a letto mentre lei si terrà il posto. In pratica una puntata di Winnie Pooh è più avvincente.
Antifemminismo puro
La cosa più seccante di questo film è che vi troviamo due luoghi comuni molto fastidiosi. Il primo è quello della classica figurina bidimensionale della donna di potere alla quale però sotto sotto piace essere dominata e la seconda è che la protagonista è zero personalità al punto da non avere neanche il coraggio delle proprie azioni dal momento che si vergogna delle sue pulsioni e della sua voglia di sperimentare certe cose, definendole addirittura anormali e malate. Seguendo questo ragionamento puritano e bigotto probabilmente allora tutto il mondo è anormale.
Nel 2024 è inaccettabile vedere ancora il sesso raccontato come un tabù o come qualcosa che deve farci sentire malati o sporchi. Inoltre se il senso è raccontare di una protagonista che per anni ha represso certi desideri, nel momento in cui finalmente li sta vivendo dovrebbe sentirsi libera e godersi il momento invece di lamentarsi tutto il tempo. Il Cinema (quello scritto bene) è pieno di storie con protagoniste fiere, libere e passionali che molto ci hanno insegnato. Basti pensare a film come Secretary o Ninphomaniac che si sono spinti oltre e hanno offerto personaggi femminili tridimensionali ed emozionanti.
E qui mi fermo perché potrei citare lo stesso Eyes Wyde Shut (interpretato dalla stessa Kidman) o Storia di un matrimonio che hanno saputo ben sviscerare i lati oscuri della vita coniugale.
In questo caso di oscuro c’era solo la rabbia di fronte a una tale perdita di tempo.