La società della neve, il finale Netflix spiegato nei minimi dettagli: ecco perché non ti è chiaro | Non è colpa tua
Il film Netflix La società della neve racconta di un evento realmente accaduto ma il finale lascia lo spettatore con troppe domande, ecco perché.
La società della neve è un film del 2023 diretto da J. A. Bayona, adattamento dell’omonimo libro di Pablo Vierci, incentrato sull’episodio del disastro aereo sulle Ande avvenuto nel 1972. Candidato agli Oscar 2024 per il miglior film internazionale, è un resoconto visivo di un’esperienza sovrumana vissuta dai sopravvissuti allo schianto.
Il 13 ottobre del 1972, il volo 571 dell’aeronautica militare uruguaiana che trasporta una squadra di rugby in Cile, subisce un tragico incidente. Il velivolo si schianta contro un ghiacciaio nel cuore delle maestose Ande. Dei 45 passeggeri a bordo, solamente 16 riescono a sopravvivere all’impatto.
Bloccati in uno degli ambienti più inaccessibili e ostili del pianeta, i sopravvissuti si trovano in una situazione disperata. Il freddo estremo, la mancanza di cibo e le precarie condizioni di salute li costringono a prendere misure estreme per sopravvivere. Sforzi titanici per resistere alle avverse condizioni atmosferiche e all’isolamento profondo sono accompagnati da decisioni difficili e cruciali.
La loro storia di sopravvivenza divenne un’epica lotta contro ogni probabilità. La resilienza, la determinazione e le scelte estreme delineano il racconto di come queste persone, intrappolate in uno degli scenari più ostili della Terra, trovarono la forza per sopravvivere.
Per sopravvivere devi mangiare
La forza di un film che racconta fatti reali, sta nel modo in cui li interpreta e li fa arrivare a chi guarda. In questo caso l’impatto nello spettatore è devastante, non solo perché i protagonisti sono un gruppo di ragazzi sudamericani con alle spalle famiglie e persone amate che li aspettano a casa, ma per l’empatia che un solo sguardo di ognuno di loro riesce a trasmettere. Insieme alle lacrime, alle urla che riempiono un silenzio disarmante, ricoperto interamente di neve, quello dell’immensità del paesaggio circostante. Un silenzio che i protagonisti imparano a compensare, con il lavoro di squadra, la voglia di sopravvivere, il darsi forza a vicenda, anche se i momenti di tregua sono davvero pochi. E quando arriva quel momento di “quiete” tanto ricercato, ecco che la bufera incombe e travolge tutto.
Con il passare dei giorni, le difficoltà aumentano, insieme ai morti e così aumenta la disperazione, al punto che lo spettatore a fatica guarda lo schermo mentre i due Strauch (Esteban Kukuriczka e Rafael Federman) tagliano a pezzi i corpi morti dei loro compagni e li dividono per darli in pasto ai sopravvissuti. Ma per sopravvivere devi mangiare, e lo capirà anche Numa (Enzo Vogrincic Roldán), il ragazzo riservato che neppure voleva partire, esempio di dedizione e coraggio, il più riluttante a praticare il cannibalismo che “dà la sua vita per gli amici”. È così che, dopo la sua morte il gruppo trova nuova ispirazione per continuare a lottare, sempre seguiti dalla sua voce fuoricampo che non smette di narrare.
Il finale: una prospettiva complessa sulla sopravvivenza umana
Non trovando altra scelta, Roberto (Matías Recalt) e Nando (Agustin Pardella), dopo aver provato ad attivare la radio per comunicare la loro posizione, decidono di completare l’intensa e quasi impossibile escursione, durata diversi giorni per tornare alla civiltà, raggiungendo la periferia del Cile, dove il loro volo era originariamente diretto.
Una volta che Nando e Roberto vengono scoperti da un passante a cavallo, viene inviata una squadra di soccorso cilena che salva i restanti 14 sopravvissuti, i quali verranno ricoverati in ospedale e verranno acclamati da una frenesia mediatica internazionale. Il film racconta una vicenda avvincente e complessa, la lotta per la sopravvivenza si intreccia con temi etici e morali profondi, particolarmente evidenziati dall’atto estremo del cannibalismo, affrontato nel contesto della necessità estrema di sopravvivere.
Il ritorno alla civiltà dei sedici sopravvissuti, inaspettato e travolgente, viene mostrato dunque come un passaggio dalla più estrema isolazione alla ribalta mediatica mondiale. La loro esperienza è esplorata attraverso le lenti della moralità, dell’etica e del significato spirituale, evidenziando il profondo rispetto dei sopravvissuti per coloro che non ce l’hanno fatta e la sfida nel confrontarsi con le loro azioni per sopravvivere.
Un momento emblematico è rappresentato da Gustavo (Tomas Wolf), che rifiuta di lasciare la zona del disastro senza la sua valigia contenente i ricordi e le ultime lettere dei defunti. Questo gesto tocca il nucleo del rispetto per i morti, evidenziando la complessità delle loro emozioni e dei legami mantenuti attraverso oggetti materiali, sfidando la semplice distinzione tra giusto e sbagliato.
Il film si distingue per la sua capacità di non giudicare i sopravvissuti, ma di presentare le loro azioni, pensieri ed emozioni con profonda sensibilità. Si concentra sulla loro resilienza straordinaria, evitando di sensazionalizzare gli eventi reali e invitando il pubblico a riflettere sull’etica della sopravvivenza in situazioni estreme. Così la conclusione aperta del film lascia spazio allo spettatore per riflettere sulla morale, sull’etica e sul significato più ampio di questa storia.
Così La Società della neve, si distingue per la sua capacità di celebrare la forza dei sopravvissuti e di puntare sul futuro, piuttosto che perdersi nelle sfumature etiche di un passato traumatico, offrendo un tributo rispettoso alle vite salvate e a quelle perse. Il film, evitando semplificazioni e trovando la sua forza nella complessità umana, invita il pubblico a esaminare la determinazione umana e le relazioni in situazioni estreme, senza cercare risposte definitive ma aprendo a una profonda riflessione sulle capacità e i limiti della condizione umana.