The Killer, spiegazione del finale del film di David Fincher targato Netflix | Rimarrete spiazzati
Finalmente è arrivato su Netflix l’ultimo film di David Fincher, ma alla fine siete rimasti spiazzati, soprattutto dalla premessa. Ecco perché.
Un finale inaspettato? Probabilmente per una buona fetta di spettatori non è stato così difficile intuire l’epilogo di questa caccia all’uomo. Il protagonista è “il Killer” che, per quanto nel suo lungo monologo si definisca senza empatia e menefreghista, da subito appare già un po’ troppo riflessivo.
Incaricato di uccidere un uomo, ci parla del suo lavoro, ci guida nei suoi schemi, nel suo modo di pensare: “attieniti al piano, gioca d’anticipo, non improvvisare”. Ascoltiamo il flusso dei suoi pensieri così come la musica nelle sue cuffiette. Osserviamo le sue mosse, siamo attenti a ogni dettaglio, così come lo è lui.
A un certo punto, però, tutte le premesse vengono meno: colpisce il bersaglio sbagliato. I tempi lenti e di riflessione, lasciano quindi spazio a una fuga impulsiva e veloce verso casa, dove la realtà che lo aspetta scatena in lui un sentimento di vendetta così forte quanto non abbastanza motivato, o almeno per noi.
Così ha inizio la sua ricerca di tutti coloro che hanno partecipato al tentato omicidio suo e della sua “amica”. Un omicidio dietro l’altro, finché non raggiunge l’uomo che sarebbe dietro tutto: e si ferma.
Storia di un senso di colpa?
Si tratta davvero di un flusso di coscienza di un uomo che da apatico e senza scrupoli inizia a provare un qualche tipo di sentimento umano, per cui non riesce a continuare e a portare a termine il suo lavoro? Eppure le tracce di empatia sono accennate e quasi invisibili. Ha forse dubitato prima di premere il grilletto? Piuttosto uccide tutti quelli che riesce a trovare. Se avessimo dovuto cogliere il suo cambiamento nella decisione di far sembrare un incidente la morte di Dolores, allora forse qualcosa non quadra. Dov’è il suo pentimento? Se ascoltiamo i suoi pensieri, dove sarebbe il senso di colpa?
La storia dell’orso e del cacciatore ha poco a che fare con la storia di questo uomo senza nome, di cui non viene approfondito nessun dettaglio psicologico, così che la sua apatia è condivisa dallo spettatore nei suoi confronti. Perché, in realtà, si prova pena per il giovane tassista ucciso, per l’assistente dell’avvocato, forse anche per l’Esperta, ma per il protagonista e la sua vicenda personale nessuna emozione. Un film di vendetta che non è paragonabile alla serie infinita di film sullo stesso genere, perché guardare il killer perseguire il suo obiettivo non carica di adrenalina, ma di speranza che tutto giunga a una fine, e che questa si riveli illuminante, se si considera il regista di Fight Club e di Seven. E non è neppure questo il caso.
La spiegazione del finale
Così ecco la spiegazione di un finale sciapo e senza gloria: l’assassino decide di risparmiare la vita di Claybourne, avvertendolo che se provasse ancora a danneggiarlo, verrebbe eliminato. Poi ritorna nella Repubblica Dominicana per ritirarsi con Magdala. Così potrebbe aver scelto di tenerlo vivo per farlo sentire in debito con lui, sicuro del fatto che Claybourne non parlerebbe o non farebbe mai nient’altro contro il killer per paura di essere ritrovato.
Volendo scavare più a fondo, il motivo più profondo di tanta misericordia potrebbe essere il fatto che Claybourne dubitasse della sua dedizione come assassino, come si percepisce dalla frase pronunciata dal protagonista “E lei non ha la minima idea del perché mi trovo qui”.