Ferrari: il film di Michael Man non ha spinta sulla storia ma ruggisce nelle gare | Recensione
Ferrari è arrivato a Venezia 80 con un cast stellare, Enzo Ferrari è interpretato da Adam Driver ma viene oscurato dalla Cruz.
Nel film di Michael Mann presentato alla Biennale del Cinema di Venezia vediamo Adam Driver interpretare Enzo Ferrari nei suoi anni dopo le corse, ingrigito e bramoso di potere con la bancarotta alle spalle, tutto sullo sfondo di una vita sentimentale travagliata tra la moglie e l’amate. La storia, però, preme sull’acceleratore solo quando lui non è in scena.
Ferrari è ambientato a Modena alla fine degli anni Cinquanta e racconta del periodo difficile di Enzo quando alcune case emergenti, come la Maserati, gli stanno alle calcagna per surclassarlo, l’unico modo che ha per evitare la bancarotta è vincere, vincere, vincere. Ma i suoi problemi sono molto più profondi e il lavoro va a intrecciarsi con la vita privata.
Laura, sua moglie, interpretata da Penelope Cruz, detiene il patrimonio aziendale ma è frustrata e amareggiata per il comportamento fedifrago del marito tanto da volergli letteralmente sparare, in questo scenario Enzo ha un’amante da cui ha avuto un figlio, che sarebbe il suo secondo genito dopo la morte del suo primo figlio avuto dalla moglie.
Adam Driver interpreta Enzo Ferrari con grande convinzione ma non riesce a ottenere il risultato che forse aveva sperato, questo accento americano italiano scade pesantemente nel grottesco e a parte il suo cognome non si trova un vero motivo per cui sia stato scelto lui per interpretare uno dei più famosi imprenditori e piloti italiani. Come disse Pierfrancesco Favino quante tempo fa: perché i personaggi italiani non vengono interpretati da attori italiani in un panorama in cui abbiamo grandissimi interpreti e non ci serve l’attore strapagato di Hollywood?
Driver ha dimostrato pienamente che di lui si poteva fare benissimo a meno, anzi, forse sarebbe stato meglio dare la parte a qualcuno capace di sentire questa storia in modo più profondo, anche perché il suo accento è davvero fastidioso ed è lo stesso identico usato in House of Gucci per Maurizio Gucci, destrutturando entrambi i personaggi, però, mentre in House of Gucci era comunque riuscito a cavarsela con un personaggio non troppo impegnato, in Ferrari il gioco si fa duro con un uomo capace di mandare i suoi piloti in gara come se fosse un generale che invia i suoi uomini al fronte.
Un film che funziona solamente per gli appassionati di auto da corsa
Le scene di gara sono assolutamente impressionanti e si vive pienamente il ruggito dei motori, a oggi siamo abituati a gare dove la prima parola è: sicurezza, quindi non abbiamo la percezione di come in quegli anni la vita dei piloti (ma anche del pubblico) fossero così tanto a rischio, la morte è costante e il film prendere vigore proprio nei momenti più orririfici. Usare fatti di cronaca devastanti per girare scene disturbanti in grado di alzare il livello del film dalla noia al disgusto, è una mossa discutibile e dimostra la pochezza della scrittura.
Ci sono due immagini molto forti di incidenti, ma nonostante le scene siano crude e disarmanti, non riescono a dar forza all’idea che purtroppo in quell’epoca fosse quasi una prassi che i piloti morissero e gli spettatori fossero seriamente a rischio, questo concetto avrebbe rafforzato l’idea che l’industria delle auto fosse una vera carneficina di cui i proprietari erano i mandanti senza scrupoli.
Come Ferrari salva la sua azienda dal fallimento
La storia racconta che Enzo Ferrari, per salvare l’azienda dalla bancarotta fa una mossa azzardata, produrre un numero elevato di auto sperando che uomini ricchi le vogliano comprare e per riuscirci deve vincere a tutti i costi la gara automobilistica su strada che percorreva tutto il paese, la Mille Miglia. Una competizione entrata nella leggenda e portava i tifosi o anche i curiosi a riversarsi sulle strade per veder sfrecciare questi bolidi.
La pericolosità di questa gara è elevata e l’incidente è praticamente telefonato, Ferrari vince la competizione ma il prezzo da pagare è molto alto e le sue mani, in qualche modo, sono sporche del sangue di innocenti, ma non si capisce realmente quando abbia imparato dalla tragedia avvenuta. Un aspetto che poteva essere molti più interessante da analizzare, piuttosto delle sue scappatelle.
Il cast non riesce a emergere
Nonostante un cast stellare, tutti restano nell’ombra, l’unica che riesce a dare vita a un personaggi da ricordare è Penelope Cruz nel ruolo di Laura, il suo personaggio è potente dove rabbia, rancore e passione scorrono nelle sue vene con potenza, al contrario, viene dato poco rilievo alla Woodley nel ruolo dell’amante Lina, che rimane sempre sulla superficie delle sue emozioni.
Ancora ci si chiede come mai sia stato scelto un attore del calibro di Patrick Dempsey per essere lasciato ingiustamente da parte quando avrebbe potuto dare onore e gloria a uno dei più grandi piloti del nostro Paese, Piero Taruffi che meriterebbe un film a parte, invece passa quasi inosservato. Sicuramente Mann non si è risparmiato sulle scene di gara con uno stile davvero adrenalinico in cui si vive il pericolo e l’emozione del momento, ma questo non basta per fare un film su un personaggio complesso come Enzo Ferrari.