Finalmente l’alba di Saverio Costanzo: è Babylon ma all’Italiana | Recensione
Finalmente l’alba, il nuovo film di Saverio Costanzo è in concorso all’80 edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Saverio Costanzo decide di ambientare la sua nuova storia a Roma nel 1953, alle porte del Boom economico e in un tempo in cui Cinecittà era chiamata la “Hollywood sul Tevere”. Un tema quello delle luci e delle ombre del cinema che più volte è stato affrontato dagli autori, basti pensare allo Sceicco bianco e alla Dolce vita di Federico Fellini oppure a Il viale della speranza di Dino Risi e non ultimo Bellissima di Dino Risi. Per non parlare degli autori internazionali e delle opere più recenti, una su tutte Babylon del quale però non eredita la brillantezza.
Tutti questi film hanno in comune il mondo del cinema ma si differenziano, naturalmente, per l’epoca storica che si sceglie di raccontare. Nel caso di Saverio Costanzo gli anni cinquanta in Italia rientravano in quella che possiamo definire la “golden age” del cinema italiano. All’epoca molte giovani donne sognavano di diventare delle star del cinema e di incontrare i loro idoli, fantasticando magari su magiche storie d’amore. Un copione, questo, che abbiamo visto riproporsi praticamente in tutti i film sopra citati (con le dovute differenze).
Finalmente l’alba non è da meno e racconta la storia di Mimosa (Rebecca Antonaci), una giovane ventenne romana che si trova casualmente ad accompagnare la sorella a un provino di comparse e, come spesso capita, finisce per essere notata a sua volta e di lì viene catapultata nell’arena del grande cinema con tutto lo stupore e il senso di inadeguatezza del caso.
Davanti a lei si spalancano le porte di un mondo che fino al giorno prima aveva visto sul grande schermo e che improvvisamente può toccare con le proprie mani. Naturalmente scoprirà che grattando via la vernice dorata e spolverando il luccichio di cui sono ricoperte le star, la realtà è molto diversa.
Una variazione sul tema
Saverio Costanzo rispolvera argomenti già ampiamente raccontati, ultimamente in un film (Babylon) che possiamo definire kolossal e rimescola i temi di quest’ultimo, la vita dissoluta, il sesso sfernato, la droga e l’edonismo, con uno stile “all’italiana” sulla scia del “Paradiso delle signore”.
Un dettaglio interessante però è che Costanzo introduce un reale fatto di cronaca (il caso Montesi) servendosene come un monito che avverte la giovane e ingenua protagonista di non cadere nella tana dei lupi. Mimosa si lascia affascinare dallo scintillio del cinema e crede che quel mondo sia quanto di più bello possa esistere. Il film riporta fedelmente tutta la magia della Roma di quegli anni ma ne racconta anche il risvolto della medaglia.
Tutte le star che Mimosa incontra lungo il percorso conducono un’esistenza allo sbando, con poche certezze e ancor meno punti fermi mettendo in pericolo la propria vita e quella degli altri. Il caso Montesi, la storia di quella giovane donna (Wilma Montesi) trovata morta sul litorale di Capocotta è esemplare. Le cronache dell’epoca ipotizzarono inizialmente un incidente per poi passare alla teoria dell’omicidio. Il caso non fu mai risolto ma qui diventa un pretesto narrativo per raccontare la parte marcia di quel mondo.
Tutto molto affascinante ma non basta
Questa volta Costanzo porta nelle sale un film che da un punto di vista formale non ha alcun problema ma dal punto di vista del contenuto lascia un po’ a desiderare anche perché non aggiunge e non toglie niente quanto è già stato raccontato con un risultato deludente. C’è un disequilibrio tra la protagonista, troppo ingenua e il cinema che diventa caricatura di se stesso, con una scena finale di un’alba romana molto lirica ed evocativa che forse prova a omaggiare la fantasia del cinema stesso.
Sebbene il cinema sia qui rappresentato come una macchietta, una realtà eccessivamente grottesca viene da pensare che si tratti di un’esagerazione. Mimosa esce dal mondo del cinema spaventata e stanca andando via verso l’orizzonte con accanto una leonessa scappata da Cinecittà, come nel finale di Tempi moderni, anche se il suo è un personaggio passivo dall’inizio alla fine che se ne va senza lasciarci niente e così le figure sullo sfondo di una storia che aveva ottime premesse ma uno sviluppo poco interessante.