Pablo Larraín torna in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia con una commedia horror e dark che lascia il pubblico di stucco.
Ancora una volta Pablo Larraín attinge dalla storia e costruisce il suo film intorno a un personaggio famoso, in questo caso il dittatore fascista Augusto Pinochet la cui storia politica è tristemente nota. Il regista decide qui di raccontare la figura di Pinochet in chiave grottesca e con un certo gusto per l’orrido ispirandosi alla figura tanto temuta quanto affascinante del vampiro.
C’è una voce narrante femminile con un forte accento british che racconta le origini del dittatore e della quale scopriremo l’identità solo alla fine. In breve Pinochet è sul viale del tramonto, vecchio e con nessuna voglia di vivere, dopo anni di dittatura e assassini, con una moglie, cinque figli e un fedele maggiordomo ha deciso di simulare la sua morte e ritirarsi a vita privata. Cosa può andare storto?
Verrebbe da dire che di storto ci sarebbe il film stesso che non sembra avere né capo né coda anche se alcune trovate sono davvero divertenti e la metafora del vampirismo è spesso una carta vincente, sebbene sia già stata ampiamente sfruttata dal cinema.
Pinochet ha duecentocinquanta anni di vita e decide di smettere di bere sangue e di abbandonare il privilegio della vita eterna. Non sopporta l’idea di passare alla storia nelle vesti di un ladro. I familiari non sono vampiri come lui, in senso letterale, ma metaforicamente sì dal momento che non aspettano altro che il suo trapasso per ereditare la sua fortuna. Inaspettatamente una nuova giovinezza lo attende nella figura di una suora esorcista che tornerà a fargli battere il cuore.
Con questo film Pablo Larraín fa i conti con il proprio paese e affronta una figura complessa e senz’altro fra le più odiate al mondo e con buona ragione. La storia, per chi non la conoscesse risale al 1973 quando il generale Augusto Pinochet compie un golpe ai danni dell’allora presidente Salvador Allende (padre della scrittrice Isabel) e di lì instaura un regime autoritario. Pinochet sarà giudicato responsabile di crimini contro l’umanità, avendo egli esiliato, arrestato, torturato o ucciso decine di migliaia di cileni. Pinochet fu arrestato nel 1998 a Londra e poi messo agli arresti domiciliari ma non fu mai processato, a salvarlo dal giudizio fu la morte.
Le motivazioni per rappresentare il dittatore attraverso la metafora del vampirismo ci sono tutte e questa certamente non è la prima volta che il regista di Jackie e Spencer usa elementi fantastici per esprimere al meglio la natura dei suoi personaggi e i loro tormenti. Basti pensare al suo sguardo su Lady Diana e alla ghost story che ne trasse per capire che non si tratta di un regista che si pone limiti.
Tutto ciò è apprezzabile se non fosse che in questo caso con El conde siamo di fronte a un film sconclusionato nel quale tutto il percorso dei personaggi sembra svolgersi totalmente a caso in una successione di sketch anche divertenti (a volte) con diversi momenti splatter, forse troppi (e qui si comprende la scelta del bianco e nero).
Al termine della visione non si può fare a meno che restare perplessi, dal punto di vista emozionale c’è ben poco se non il puro divertimento di alcuni momenti e la noia per certi altri. Si può prendere questo film per ciò che è: un esercizio di stile che si fa beffe di una figura impunita che meritava di essere giudicata per i mali commessi.
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