The Bear 2 ha tutto: è caotica e tranquilla, silenziosa e frastornante | Recensione
La seconda stagione di The Bear è arrivata con una veste leggermente diversa dalla precedente, ma ha comunque ‘spaccato’.
The Bear è tra le migliori serie tv uscite negli ultimi anni, racconta della vita frenetica e caotica dietro la ristorazione, la prima stagione era da cardiopalma, metteva l’ansia e un senso di impotenza, al contempo era una scarica di adrenalina. È stata un incredibile successo, rinnovata in tempi record per la seconda.
In questi mesi abbiamo dovuto fare un vero slalom tra gli spolier, perché in America è uscita a giugno, mentre da noi non è arrivata prima del 16 agosto, su Disney+. Se avete amato la prima stagione, la seconda potrebbe apparirvi un altro prodotto, dimenticate il caos e la colonna sonora disturbante.
In questa seconda stagione convergono molti più elementi, che funzionano alla perfezione solo perché come perno alla la prima stagione (è giusto dare a Cesare qual che è di Cesare). In The Bear 2 abbiamo la giusta combinazione tra acidità e dolcezza con l’aggiunta di un po’ di buon grasso che cola.
Con The Bear abbiamo uno sguardo unico e straordinario di quello che può succedere dentro le cucine di diversi ristoranti, al contrario della prima, dove abbiamo conosciuto Carmy, interpretato magistralmente da Jeremy Allen White, uno dei migliori Chef d’America, che torna alle sue origini e alla sua città natale, Chicago, dopo la morte prematura del fratello Michel.
Come si collega la prima stagione di The Bear con la seconda
Dopo che Carmy ha preso le redini della disastrosa paninoteca del fratello, in cui lavorava una squadra sgangherata, si è trovato a dover fronteggiare debiti e situazioni al limite del paradossale. La stagione si chiude su un team che ha trovato il proprio equilibrio e una montagna di soldi nascosti dentro le latte di pomodoro.
La seconda stagione non ha nessun interessa a spiegarci come hanno fatto 300.000 dollari a finire dentro queste latte completamente sigillate, la questa serie, si sa, non deve spiegazioni a nessuno. Con questi soldi Carmy decide che è il momento di fare una svolta al locale, anche grazie all’aiuto finanziario dello zio ricco Jimmy (Oliver Platt), il The Beef viene chiuso e quello che ne nascerà dovrà essere un ristorante di altissimo livello, tanto da poter aspirare a una stella Michelin.
La seconda stagione rallenta per riprendere al massimo
In The Bear 2 tutto si ferma, il ristorante è chiuso in via di ristrutturazione e tutti i 10 episodi ci raccontano come succede la magia di aprire una nuova attività nella ristorazione, che di magico a ben poco. Dove i conflitti, le difficoltà, l’ansia e i drammi famigliari non lasciano spazio al riposo. I tempi sono tiratissimi e nonostante tutto sembra molto più rilassato, nulla lo è davvero.
Carmy non è più totalizzante, lasciando spazio agli altri personaggi che in alcuni episodi diventano centrali, così approfondiamo le loro vite e alcuni episodi danno davvero il meglio. Alla base di questa stagione c’è il desiderio di migliorarsi, come dice Carmy prima del servizio: “Siamo tutti qui per imparare“. Infatti, Tina inizia a studiare seriamente in una scuola di cucina, Marcus viene mandato a Copenaghen per fare il salto di qualità nell’arte della pâtisserie e il suo insegnante3 è una vecchia conoscenza di Carmy.
Lustro ai protagonisti e grandi interpreti
Una delle storia più coinvolgenti riguarda il problematico cugino Richie (Ebon Moss-Bachrach), viene mandato a imparare l’arte dell’accoglienza in uno dei ristoranti più importanti del Paese e la sua vita cambia, il suo personaggio ha forse uno degli archi narrativi e di crescita più interessati di tutti.
Tutta la serie procede a un bel ritmo serrato, nel senso che in ogni episodio succede qualcosa che determina il cambiamento, ma la sensazione è di una stagione riflessiva. Forse uno degli episodi più belli in assoluto si svolge tutta in flashback durante una cena di Natale in famiglia, gli sceneggiatori hanno dimostrato di essere dei veri maestri, sanno quando ‘tirare la corda’ e quando una scena deve fermarsi esattamente lì dove si trova, un episodi talmente complesso che meriterebbe un articolo tutto suo. Anche considerato il cast che ne ha preso parte.
Una serie che continua a sorprendere
Si potrebbe pensare, e lo si pensa, che la parte meno interessante sia quella dedicata a Carmy e la sua relazione con una ragazza che conosce da tutta la vita, momenti sdolcinati e fin troppo melensi, ma tutto serve per arrivare al culmine dell’ultimo episodio, confermando che nulla è dettato dal caso in The Bear e se c’è una storia d’amore non è solo per aggiungere romanticismo. Tutto ha significato.
In The Bear gli essere umani sono davvero al centro di tutto, ognuno con i suoi problemi e un bagaglio pesante sulle spalle che viene mostrato in tutte le sue sfaccettature, con una visione molto intima e naturale che si sviluppa su una trama intrecciata, dove ogni elemento ha il suo posto esatto, partendo dalle maniglie dei frigoriferi rotte, sistemi antincendio non funzionanti e mussa dappertutto.
Ogni secondo conta
In The Bear tutto è importante e tutto ha un tempo, così vengono inseriti diversi ticchettii di orologi, che ne determinano una scadenza su un pannello, oppure un orologio digitale con sotto la scritta “Ogni secondo conta” e un cronometro per velocizzare Carmy negli spostamenti da una postazione all’altra.
La sensazione è che ogni minimo passaggio, ogni movimento e ogni parola siano stati calibrati per noi, esattamente come nella cucina di un ristorante, ogni minimo dettaglio serve a far capire al cliente che si è pensato a lui, così ci dice Olivia Colman di un cameo che racchiude il senso di tutta la seconda stagione. Difficile non pensare già alla terza.