Il morso del coniglio: il film Netflix che forse per sbaglio è sotto il genere horror | Recensione
Il morso del coniglio (Run Rabbit Run) è un film del 2023 diretto da Daina Reid, inserito nel genere horror.
Talvolta sarebbe opportuno seguire criteri per definire il genere di un film. Di horror c’è solo il buio e una bambina impossessata, espediente che rende quantomeno movimentata una trama piatta e senza sviluppi convincenti.
Mia (Lily LaTorre), la figlia di Sarah (Sarah Snook), sta per compiere sette anni. Da quel momento, la piccola inizia a manifestare comportamenti insoliti, affermando di essere Alice e di conoscere Joan, la madre di Sarah, con la quale quest’ultima ha interrotto ogni contatto da tempo.
Curiosamente, Mia non ha mai incontrato Joan poiché la donna è stata portata in una casa di cura molto tempo prima. La situazione diventa ancora più misteriosa quando un coniglio appare fuori dalla porta di casa e viene adottato dalla bambina, suscitando una sensazione sinistra in Sarah.
Per fare chiarezza su ciò che sta accadendo, Sarah decide di portare Mia nella sua vecchia casa d’infanzia, che ora è abbandonata. Qui, i comportamenti strani della bambina si intensificano, riportando a Sarah ricordi oscuri legati alla scomparsa di Alice, la sua amata sorella.
Il “morso” del senso di colpa
Il morso del coniglio è la storia di un trauma, quello di Sara, mai superato e che si risveglia a partire dal giorno del settimo compleanno di sua figlia Mia. La connessione viene fuori durante lo svolgimento della storia, nel momento in cui si scopre che, quando la sorella di Sara è scomparsa tanti anni prima aveva la stessa età di Mia.
Ecco che tutto torna alla memoria, sottoforma di Mia che porta la madre a tornare nel luogo del delitto, a ripercorrere i suoi passi e a fare finalmente i conti con ciò che ha fatto. Il senso di colpa bianco e con le orecchie lunghe la perseguita, cammina nella sua casa, la insegue e la tormenta: uno dei conigli che è sfuggito alle gabbie del padre.
Un groviglio di dettagli insignificanti
Mia, proiezione di Alis, che esce dall’armadio e attacca Sara fa luce su un rapporto competitivo e non di sorellanza, al punto che Sara arriva a spingere la sorella dal dirupo dopo averla colpita a morte, nascondendo poi la verità ai suoi genitori. Così quel telefono che squilla ogni mattina dall’inizio del film, a un certo punto viene ascoltato: è il suono di un tormento nel cuore e nell’anima di Sara che adesso è pronta a confessare a sua madre che non si è mai arresa, riconoscendo Alis in Mia, sperando sempre in un suo ritorno.
Tuttavia, quando uno spettatore in cerca di un horror nuovo si imbatte nella visione di questo film, quello che gli si apre davanti è un groviglio di dettagli effimeri, per cui anche se non fossero stati buttati lì ad allungare il brodo (i disegni della bambina, la maschera e i quadri che cadono, il rapporto con l’ex compagno di Sara, o anche il “morso” del coniglio), l’occhio più attento avrebbe già intuito di che si tratta, e forse si sarebbe annoiato di meno.