Due occhi attraverso cui guardare il mondo, che diventano quelli di tutti: Zerocalcare sa parlare all’armadillo di ognuno di noi.
Dopo averci inglobato nei pensieri e nei destini dei protagonisti di Strappare lungo i bordi, Zero torna per ammaliarci ancora una volta attraverso una breve storia che va ad allargarsi per abbracciare problemi sociali attuali e il modo di viverseli delle persone.
In una piccola realtà di quartiere, in cui viene respinto chi è diverso – “ogni cosa che ci risulta eccentrica, fuori dai canoni estetici o comportamentali conosciuti e rassicuranti, tendenzialmente ce sta sur ***” – Zero ripercorre i momenti della sua vita rendendoli universali, creando un vero e proprio manifesto audiovisivo che con sferzante ironia e satira malinconica, denuncia e allo stesso tempo rivela l’inerzia e l’inettitudine di un mondo che si divide in due parti: chi vuole lottare e mettersi in gioco davvero per i propri ideali, chi questi ideali ce li ha ma non sono abbastanza per spingerlo ad agire.
Tra i portatori di ideali c’è poi, ovviamente, chi agisce per convinzioni – date da un passaparola – che sono ormai incorporate nella sua mente, impossibili da rimuovere. Individui per cui la prospettiva è sempre quella di un “noi” che definisce il “loro” come problema: loro sono i migranti, ossia un pacco indesiderato, di cui non si sa che farsene e che viene trasferito da un posto all’altro con totale disinteresse, se non per sfogare la propria rabbia repressa.
Perché sono loro che vengono nel nostro paese a “rubarci il lavoro”, e che impediscono allo stato di funzionare come dovrebbe. È colpa loro se lo Stato ha smesso di ascoltare qualcuno che non ha più voce in capitolo all’interno di una società che l’ha respinto e lasciato da solo. Così si passa dalla parte dei cattivi, “i nazisti”: “perché il fascismo ormai è come dire ‘va be è celiaco però è bravo’”. Ecco che Zero strappa ancora una volta una risata laddove ognuno di noi aveva raggiunto l’apice dei propri pensieri furiosi, rappresentati sullo schermo da quei bellissimi disegni animati.
Zero si trova davanti una scelta: parlare o no, denunciare o lasciar correre, combattere o non intervenire, in un momento in cui è consapevole di aver fatto quel passo in avanti, venendo meno al punto fondamentale: nessuno deve essere lasciato indietro “almeno quando muori non finisci nel girone di Margaret Tatcher”.
Eppure ecco Sara, che cerca ancora disperatamente il suo posto nel mondo e quando sembra averlo trovato è costretta a difenderlo con le unghie, perché una donna di 40 anni che cerca lavoro è “la carcassa di un elefante”: “ma che ce famo questa poi tocca andalla a smaltì all’isola ecologica”. E Cesare di cui si sono perse le tracce da vent’anni, vent’anni di assoluto silenzio che rendono vana e priva di senso qualsiasi cosa gli venga detta, perché ormai non c’è più nessun Orfeo che lo può salvare, ma c’è solo Euridice che cammina da sola.
Nella convinzione rassicurante che ci si possa aggrappare all’idea del gatto di Schrodinger per la quale “finché non scoperchi la scatola, potenzialmente può essere tutto”, la realtà è tutt’altro e Zerocalcare lo sa bene: pronta a sbatterti in faccia gli aspetti che non avresti voluto vedere, che provi a dimenticare ma non puoi ignorare.
Così Zerocalcare ci pone di fronte alla sua realtà, che è anche la nostra e da cui non possiamo più scappare, mettendo in scena un mondo che, seppure con tutte le sue contraddizioni, alla fine non ci renderà cattivi.
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