Perfect Days di Wim Wenders: quando la quotidianità di un uomo qualunque diventa arte | Recensione
Cannes Film Festival 76 sta riservando le cose migliori nella seconda settimana della rassegna e nel concorso ufficiale è presente un altro gioiellino: Perfect Days di Wim Wenders.
Il film racconta una storia tanto semplice quanto profonda. Siamo a Tokio e il protagonista della storia è un pulitore di servizi igienici che svolge le sue giornate seguendo una tranquilla routine che si ripete pressoché uguale salvo l’incursione di alcuni personaggi che incrociano la propria strada con la sua.
Hirayama (Kōji Yakusho) vive in un modesto appartamento, si sveglia tutte le mattine alla stessa ora e la sua Morning routine è sempre la stessa, ripiega il materasso e le coperte, si lava, si fa la barba, lava i denti e infila la sua tuta da lavoro prima di prendere un caffè al distributore fuori casa e mettersi sul suo furgoncino con l’attrezzatura da lavoro alla volta di Tokyo e dei suoi bagni pubblici da pulire.
In macchina Hirayama ama ascoltare audiocassette di autori internazionali e ascolta musica di tutti i generi, nel furgoncino sentiamo Patti Smith, Van Morrison, Lou Reed (che con la sua Perfect Day dà il titolo alla storia) e molti altri cantautori e tutti occidentali. Hirayama ama anche leggere e spesso acquista libri nel suo negozio di fiducia, cosa che fa regolarmente nel suo giorno libero, va alle terme, fa il bucato, passeggia in bicicletta e mangia fuori.
Insomma Wim Wender ci racconta una vita tranquilla e apparentemente spensierata. Si parla poco in questo film e quando succede scopriamo un pezzo in più della vita del protagonista. Il regista usa una narrazione semplice per raccontare qualcosa di molto profondo. È un film sulla solitudine? È un film sul segreto della felicità? Probabilmente racconta entrambe le cose.
Il senso della vita
Volendo fare filosofia spicciola questo di Wenders potrebbe essere un film sul senso della vita, sul sapersi godere le piccole cose e sulle buone abitudini ma, come detto, anche la solitudine ha la sua parte in gioco. Il protagonista vive solo, apparentemente non avrebbe un amore, ma a un certo punto scopriamo che ha una nipote.
Lei lo va a trovare senza preavviso e lo segue sul lavoro, si fa prestare i libri e ascolta la musica dalle audiocassette, con lo zio scatta anche alcune fotografie in analogico. Sì perché Hirayama è anche appassionato di fotografia analogica. A vederlo nel complesso Hirayama vive fuori dal tempo, come se fosse rimasto agli anni Novanta.
La solitudine e la felicità costano care
Proprio con l’arrivo della nipote scopriamo qualcosa in più del passato di Hirayama, per esempio che ha una sorella che non vede da tempo e che gira in auto con l’autista, per cui ne deduciamo che la sua è una vita molto più agiata. L’incontro con la sorella romperà qualcosa dentro il protagonista ma la sua vita manterrà la solita routine e malgrado i diversi incontri lungo il cammino egli continua a inseguire la sua felicità. I momenti in cui vediamo Hirayama stare male o essere a disagio sono quelli in cui la sua routine viene interrotta da un evento imprevisto. La musica gioca un ruolo importante in questa storia, costituisce non solo una colonna sonora ma anche il contrappunto di alcune scene.
Nessun brano è messo a caso, ma ciascuno descrive perfettamente la situazione che stiamo osservando. L’amore sembra il grande assente del film, dal momento che non c’è una passione per il protagonista, salvo un incontro con una giovane ragazza che frequenta il suo collega. L’amore tuttavia si manifesta in molte forme all’interno di questo film: c’è l’amore per la musica, quello per i libri, quello per la famiglia, l’amore per la città e quello verso gli altri. Il film ci regala due ore di saggezza durante le quali si riflette sull’ipotesi di una vita meno frenetica di quella che conduciamo.