Wes Anderson in competizione ufficiale al Cannes Film Festival porta un film ancora una volta corale e diviso in capitoli.
Asteroid City è una piccola città nel mezzo del deserto degli Stati Uniti sud-occidentali. L’anno è il 1955. Il sito è famoso soprattutto per l’enorme cratere da impatto, formatosi in seguito alla caduta di un meteorite. Lì vicino c’è anche un osservatorio astronomico. L’azione si svolge nel corso di un week end durante il quale i militari e gli astronomi ospitano cinque bambini dotati, premiati per le loro creazioni scientifiche, per presentare le loro invenzioni. Nel frattempo, a pochi chilometri di distanza, sulle colline, si possono vedere le nubi a fungo dei test nucleari.
Un giorno proprio mentre si celebra l’asteroide, un ufo si cala sul cratere e da questo ne esce un alieno che si porta via il frammento di asteroide rimasto. Tutta la cittadina dovrà restare in quarantena e in questo lasso di tempo che dura alcuni giorni le storie dei personaggi si intrecciano.
Conoscendo lo stile di Anderson saprete già che questo è solo un livello della storia perché in realtà i personaggi, l’ambientazione e la vicenda altro non sono che una messa in scena teatrale registrata alla televisione e introdotta da un presentatore interpretato da Bryan Cranston. Come nel suo ultimo film quindi (The French Dispatch), Anderson racconta una storia antologica e la divide per capitoli, questa volta senza dilungarsi troppo, ma sfociando comunque nella noia.
Il parterre di attori coinvolti per Asteroid City vanno dai suoi feticci come Jason Schwartzman a Tony Revolori, da Edward Norton a Adrien Brody con aggiunte come appunto Cranston, Margot Robbie (ormai presente in tutte le grandi produzioni), Tom Hanks, Steve Carrell e Scarlett Johansson.
Purtroppo anche questa volta Anderson convince poco e ciò dipende dall’eccessivo manierismo di cui si caratterizzano i suoi ultimi lavori. Allo stato attuale delle cose Wes Anderson è un ottimo arredatore d’interni che si diverte ad allestire un set per invitare le maggiori star di Hollywood e giocare a fare il cinema insieme a loro. Questa sensazione è tanto più forte nel momento in cui guardando il film ci si sente di troppo rispetto a quanto succede nella storia, come se noi spettatori ci fossimo imbucati a una festa in una grande villa sulle colline di Hollywood.
È indubbio che gli attori si siano divertiti molto a girare questo film e Wes Anderson con loro, ma è altrettanto evidente che allo spettatore non ci hanno pensato minimamente. Noi vediamo una carrellata di situazioni tipo tableaux vivants che potrebbero anche essere fruite singolarmente, ma dov’è la storia?
Probabilmente Wes Anderson non sa più cosa dire e ci offre un canovaccio usato come pretesto narrativo, arricchito poi con una grande scenografia, colori e fuochi d’artificio, il tutto allo scopo di distogliere l’attenzione del pubblico dal fatto che non c’è una storia.
La domanda che ci si pone alla fine è sempre la stessa, che ci faccio qui? Per altro è evidente che la presenza di Anderson al Festival è dovuta alla scuderia di attori che si è portato dietro, i quali sono arrivati letteralmente in pulmann sul red carpet, visto il numero di partecipanti alla sfilata di rito. Unica nota positiva di Asteroid City è che scorre più rapido e indolore di The French Dispatch.
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