Black Flies di Jean- Stéphane Sauvaire è in competizione ufficiale a Cannes 2023 e ci si chiede la ragione.
Che senso ha vedere i due paramedici protagonisti correre da un angolo all’altro di New York con la stessa agitazione di ER – Medici senza frontiere se poi la parte interessante della storia arriva praticamente alla fine? Per tre quarti di film, infatti, vediamo i due protagonisti Gene Rutkovsky (Sean Penn) e Ollie Cross (Tye Sheridan) correre da un caso di emergenza all’altro per le strade di New York prima che il vero senso della storia ci venga svelato.
Gene e Ollie sono due paramedici che passano la maggior parte del loro tempo in ambulanza raccontandosi la vita e diventando a poco a poco amici. Gene è un paramedico esperto e ormai all’ennesimo morto in ambulanza ci ha fatto il callo, Ollie invece è lì da due mesi e fa ancora fatica a sopportare di non riuscire a salvare tutte le vite che si incrociano con la sua.
Gene, il personaggio interpretato da Penn è misterioso e della sua vita privata non sappiamo molto, ne scopriremo il lato oscuro più avanti, troppo avanti! Ollie è il classico personaggio giovane in cerca della sua strada e il suo atteggiamento con la sua violenza repressa ne danno l’impressione di un militare sotto stress post traumatico di ritorno dalla guerra.
Sicuramente una cosa chiara di questo film è quanto sia dura la vita per medici e paramedici, quanto sia difficile sopportare il dolore altrui cercando di non lasciarsi sopraffare. E per i personaggi è complicato riuscire a sopportare, tanto che a un certo punto troveranno un loro modo di gestire la cosa scegliendo una propria giustizia.
Se l’obiettivo del regista era mostrare le difficoltà del mondo sanitario o quanto è dura la vita per chi lavora con i casi di emergenza, non era necessario un film di due ore per esprimere questo concetto.
Soltanto a tre quarti di film, dopo aver visto emergenze, morti e feriti gravi sull’orlo del trapasso, si arriva al dunque della storia. Gene si rivela essere un personaggio assai più oscuro ed è interpretato da uno Sean Penn meno interessante e più stanco del solito.
Il susseguirsi di casi drammatici con la forte presenza di sangue e dolore rischiano di sfociare nel pornografico. Bastava qualche storia collaterale in meno, così da non farlo sembrare un documentario e magari un maggiore approfondimento dei personaggi.
L’evento scatenante e il plot twist della storia diventano tutt’uno e si presentano a oltre un’ora di film. Nessuno degli interventi di soccorso ha una relazione con la storia principale, solo uno di questi lo sarà ma lo vedremo troppo avanti. Torna la domanda iniziale: per quale ragione un film simile è in competizione ufficiale al Festival del Film di Cannes?
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