Mario Martone torna al cinema per parlare di Massimo Troisi in un documentario che racconta l’artista e ci fa conoscere anche la persona.
Mario Martone dirige un documentario dedicato a Massimo Troisi che tra racconti personali, testimonianze e letture ripercorre la carriera e la personalità dell’artista. Il film è uscito nelle sale il 23 febbraio dopo essere stato presentato in anteprima al Festival di Berlino 2023 e si pone in forma di racconto in cui la voce narrante, quella di Martone, che introduce il racconto dicendo: “Il cinema di Troisi era bello perché aveva la forma della vita”
È questa frase a condurci come in un viaggio nel tempo dove una serie di immagini di repertorio ci portano nella Napoli degli anni Settanta in un periodo storico subito conseguente alle contestazioni, durante gli anni di piombo quando timidamente ma in modo significativo faceva capolino in televisione un gruppo comico nuovo, La smorfia, tre napoletani che esordivano nel programma sperimentale Non Stop.
In quel gruppo c’era Massimo Troisi che ben presto sarebbe diventato la figura che tutti conosciamo e a ricordarlo insieme a Martone ci sono Anna Pavignano storica sceneggiatrice con la quale ha scritto tutti i suoi film, Ficarra e Picone che lo ricordano come una figura esemplare per il loro lavoro ma anche con tutto l’affetto di due fan. Intervengono inoltre lo scrittore Francesco Piccolo, che ricorda di quando ha visto Ricomincio da tre al cinema per tre sere consecutive. Altri interventi sono quello di Goffredo Fofi, Fabio Balsamo e Aurora Leone e Michael Radford.
I ricordi più interessanti e inediti sono la voce di Massimo che emerge da un nastro custodito da Anna Pavignano e nel quale si sente Troisi parlare di sé del suo inconscio di vita e di morte in una simulazione di seduta psicanalitica. Ma forse i ricordi più commoventi sono quelli estratti da una vecchia agenda di Massimo Troisi, del 1976 e risalente al periodo in cui la sua malformazione al cuore iniziò a chiedere il conto. Quello fu l’anno della sua prima operazione, la seconda come tutti sanno non fece in tempo a farla.
In quell’agenda si leggono appuntamenti, commenti sul suo stato di salute e note sul suo stato d’animo ed è commovente leggere quanto desiderasse tornare alla sua vita con un cuore guarito. Ma non è tutto qui perché Anna Pavignano conserva ancora una marea di foglietti con dialoghi, appunti, spunti per storie e molte cose che Massimo Troisi scriveva e dalle quali attingeva in fase di scrittura per i suoi film. Per i nostalgici sarà possibile rivedere le scene iconiche dei suoi film e i commenti di chi lo ha amato.
Tra i punti di forza del film ci sono i molti paragoni tematici tra gli argomenti e lo stile del cinema di Troisi e alcuni filoni cinematografici rivoluzionari come la Nouvelle Vague e i film di François Truffaut, film nei quali i personaggi vivono la strada, corrono, sono vicini allo spettatore, non divi irraggiungibili e sicuri di sé. Massimo Troisi nei suoi film è come Antoine Doinel personaggio cinematografico inventato dal Truffaut e interpretato da Jean-Pierre Léaud che appare in cinque opere del regista e che esprime tutta la normalità e le insicurezze dell’uomo medio.
In questo film compare tutta la fragilità, la timidezza e l’umanità di Massimo Troisi e in alcuni momenti la commozione è assicurata. Alcuni punti deboli del film si notano nel fatto che certi temi vengono appena accennati e non approfonditi e ciò dipende dal fatto che Martone ripercorre la storia di Massimo dall’inizio alla fine e a voler raccontare tutto finisce per accennare a cose molto interessanti che purtroppo non vengono seguite fino in fondo.
Insomma si aprono molte stare e il film si lascia seguire dall’inizio alla fine, anche se in alcuni momenti ci lascia la fame di conoscenza.
Rimane un prodotto godibile ed emozionante nel quale scopriamo un Martone appassionato ed emozionato, che vuole in qualche modo rendere grazie a una figura che fu importante anche per lui come regista.
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