La legge di Lidia Poët, su Netflix una storia vera in giallo tutta italiana | Recensione
È approdata su Netflix lo scorso 15 febbraio la serie Tv ispirata alla vita dell’avvocata Lidia Poët.
Matilda De Angelis indossa i panni della prima avvocata d’Italia, Lidia Poët. La storia di questa donna coraggiosa e indipendente è ambientata a Torino alla fine dell’ottocento e vede sei episodi strutturati secondo una linea verticale che vede un caso diverso da risolvere per ognuno e una linea orizzontale che si incentra sulle battaglie che Lidia deve affrontare per farsi riconoscere come avvocata.
L’Italia rappresentata in questa storia, infatti, è un’Italia in cui le donne non possono ancora votare ma soprattutto non possono ricoprire cariche nei pubblici uffici, pertanto professioni come quella forense o quella medica o altre analoghe non erano fatte per le donne “secondo natura”. Lidia Poët è stata la prima donna in Italia ad abbattere il muro di maschilismo e patriarcato che la teneva lontana dalla carriera fornese. Da qui il titolo evocativo La legge di Lidia Poët serie che si divide tra il genere giallo – procedurale e qualche tinta rosa.
La serie è prodotta da Matteo Rovere per Groenlandia ed è creata da Guido Iuculano e Davide Orsini. Lo stesso Matteo Rovere con Letizia Lamartire dirige i sei episodi scritti da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo.
La legge di Lidia Poët, sinossi
Torino, 1883. Una sentenza della Corte d’Appello di Torino dichiara illegittima l’iscrizione di Lidia Poët all’albo degli avvocati, impedendole così di esercitare la professione solo perché donna. Lidia si ritrova improvvisamente senza lavoro e senza un soldo, costretta a chiedere asilo al fratello (avvocato anche lui) Enrico presso il quale si offre di fare l’assistente.
Il suo carattere tenace e indipendente però la spingerà a prendere sempre più spazio nei casi che di volta in volta i due fratelli si troveranno a risolvere. Nel frattempo Lidia si prepara a fare ricorso per contestare la decisione della Corte.
Con uno sguardo moderno, libero e più vicino alla nostra contemporaneità, Lidia cerca la verità dietro le apparenze e i pregiudizi. Ad affiancarla, oltre il fratello Enrico (Pier Luigi Pasini) ci sarà Jacopo Barberis (Eduardo Scarpetta), un misterioso giornalista e fratello di Teresa Barberis, moglie di Enrico (Sara Lazzaro). Proprio con Jacopo inizia un rapporto complesso che oscilla tra antipatia e attrazione, mentre nella sua libertà (anche sessuale) Lidia frequenta il commerciante Andrea Caracciolo (Dario Aita).
La legge di Lidia Poët: fra intrattenimento e storia
La serie si presenta come un ottimo prodotto targato Netflix, ottima regia, attenzione al dettaglio (considerato il fatto che la serie è in costume), recitazione eccellente. Nel complesso è una visione piacevole, sia per gli elementi storici che ci raccontano qualcosa di un personaggio veramente esistito, ma soprattutto di un’Italia veramente esistita, sia per l’inserimento di crimini da risolvere con l’elemento procedurale condito di dettagli storici sulle prime scoperte in ambito scientifico.
L’unica nota stonata è che i casi sono troppo semplici e a metà dell’indagine praticamente si è già capito chi è l’assassino, si è attratti molto di più dalle questioni private dei personaggi che dal giallo. Inoltre il tono di voce degli attori che parlano in accento torinese è molto basso, l’impressione è che nel cercare di eseguirlo correttamente (cosa che fanno), finiscono per abbassare troppo i toni.