Da tempo c’era grandissima attesa per l’autobiografia del principe Harry, dal titolo evocativo “Spare – Il minore”, che in inglese vuol dire “pecora nera” o, come ama autodefinirsi lui, “ruota di scorta”.
Edita da Mondadori, il libro del secondo genito di Lady Diana e Re Carlo sfonda una porta blindata sulla vita nella famiglia reale inglese. Ma avrebbe potuto fare di più?
Fin dalla prima pagina Spare cattura l’attenzione dei lettori perché il suo ghostwriter, J.R. Moheringe, con grande maestria ha fatto ordine nel marasma affettivo del Duca di Sussex dando vita a una narrazione magnetica e scorrevole.
Il libro è diviso in tre grandi capitoli: la morte di Diana, la vita da soldato e l’amore per Meghan.
Il primo apre sull’infanzia di Harry, macchiata da un lutto mai elaborato che lo perseguiterà per tutta la vita. Intrappolato in un meccanismo di negazione, Harry non ha mai avuto coraggio di guardare in faccia la realtà: per tutta la sua esistenza si è relazionato con il mondo tenendo la testa bassa, perseguitato da quell’ombra di angoscia e disperazione che l’ha reso un adolescente imperfetto ed errante.
Il racconto della terribile perdita è la parte più autentica del libro: senza cadere nel vittimismo, Harry mostra tutta la fragilità di un bambino – forse mai cresciuto – che viene svegliato nel cuore della notte per essere informato che sua mamma non farà mai ritorno a casa.
Nelle sue parole si percepisce quel dolore, quella perenne tristezza, quell’aurea di angoscia che caratterizzerà gran parte della sua vita. A distanza di 26 anni, le parole di Harry ci riportano al 6 settembre 1997, a osservare i due piccoli royals che camminano dietro la bara della mamma. E torna a farsi sentire, ingombrante, il rumore di quei timidi passi.
Il secondo capitolo parla del periodo nell’esercito, dove per la prima volta Harry sente di avere un ruolo di responsabilità. Lo spazio dedicato a questa esperienza è quasi eccessivo: il ritmo del racconto rallenta, ma dimostra quanto lui sia legato a quel periodo, di cui conserva ogni ricordo nel cuore come fosse una reliquia.
Tra una missione e l’altra, non manca mai di fare ritorno nel suo porto sicuro, l’Africa, in particolare nel Botswana, lo stesso luogo in cui passerà la prima notte con Meghan.
Nel libro si dedica spazio alle diverse relazioni, più o meno importanti, che Harry ha tessuto con le ragazze nel corso della sua vita. La sua anima gemella, però, la trova attraverso uno schermo: stiamo parlando di Meghan Markle, l’ex attrice di Suits.
Protagonista del terzo capitolo è la loro storia d’amore che, tuttavia, pecca di realismo: narrata in modo estremamente idilliaco, si fa fatica a credere che non siano state selezionate con accuratezza le cose da riportare.
Harry racconta un rapporto perfettamente equilibrato, in cui l’unico problema è la stampa che, nonostante giochi un ruolo ingombrante nella loro vita, non diventa mai motivo di discussione.
Nel lungo spazio dedicato alla loro storia non si fa mai accenno a una diatriba, un’incomprensione, una difficoltà. Separati da un oceano, con la stampa contro, perseguitati dai paparazzi, costretti a tenere segreta la loro storia d’amore per un lungo periodo di tempo, ma mai in crisi.
A governare su tutto, secondo le parole di Harry, aleggiava un clima di puro amore. Insomma, una fotografia un po’ irrealistica che non rispecchia l’intento del libro: raccontare la tanto attesa verità.
Più ci si allontana dal racconto del dolore per la perdita di Lady Diana, più si fa fatica a non porsi domande sull’autenticità dei fatti.
Un’altra cosa a cui si fa – davvero – fatica a credere è l’ingenuità di Meghan: lei, attrice americana, attivissima sui social, non aveva idea di chi fosse il principe con cui usciva, e lui amava questo suo candore.
Incorrotta dall’opinione della stampa, Harry trova per la prima volta una donna senza pregiudizi su di lui, che non conosca già tutti i suoi dolori, errori e privilegi. Come è possibile che Meghan – per altro molto attenta al sociale – non abbia mai aperto un giornale che esibiva in copertina la faccia di Harry? Difficile crederci.
E così, pagina dopo pagina, diventa sempre più chiaro l’intento che ha spinto Harry a scrivere questo libro: raccontare, sì, ma tirando l’acqua al suo mulino. Ripercorrere le tappe della sua vita per rinfacciare al mondo il suo “svantaggiato” punto di vista.
Harry non manca mai di autoritrarsi come una vittima: di suo fratello, che tenta a tutti i costi di controllarlo. Di suo padre, che non gli regala abbastanza considerazione. Della stampa, la stessa che ad oggi gli garantisce la sua unica entrata economica.
Il rapporto con la stampa è un filo rosso che lega tutti e tre i capitoli: non perde occasione di ribadire quanto i giornalisti inglesi siano invadenti, pronti a vendere l’anima al diavolo pur di rovinargli la vita e strappargli una foto mentre tutto cade a rotoli. A loro va la colpa di un’esistenza senza privacy, dei suoi amori mai iniziati, della depressione di sua moglie e della morte di sua mamma.
Il Duca di Sussex condanna più volte il patto segreto che da secoli tiene in equilibrio il rapporto tra la famiglia reale inglese e la stampa: “Never complain, never explain”, ossia “Mai lamentarsi, mai spiegare”.
Spiega che avrebbe voluto una reazione da parte della sua famiglia difronte agli insulti riservati a Meghan, o almeno la possibilità di reagire lui stesso. Invece, vittima (ancora) di quel tacito accordo stretto tra Royal Family e media, ha ingoiato bocconi amari più di quanto desiderasse.
Nonostante questo, con la pubblicazione di Spare svende alla stampa la storia della sua vita, fornendogli materiale su cui continuare a fare ciò che ha sempre detestato: parlare di lui.
Harry odia i media, non si trattiene dall’insultare i giornalisti – talvolta accompagnati da nome e cognome – eppure oggi gira i salotti televisivi americani per raccontare la sua versione della storia e assicurarsi un’entrata economica.
Insomma, lavora con i propri nemici e, chiariamo, non ci sarebbe niente di male nel trasformare ciò che ti ha fatto soffrire in un punto di forza, o addirittura servirsi dei propri bulli per riempirsi le tasche.
Sarebbe un modo geniale ed egoistico di vendicarsi, se non fosse che Harry continua ad avere questo atteggiamento passivo aggressivo nei loro confronti. Se non fosse che continua ad atteggiarsi da vittima, nonostante oggi impugni anche lui il manico del coltello.
Sarebbe stato bello se nel libro avesse riservato spazio al racconto della sua rivincita, in cui spiegare il legittimo schema che sta utilizzando oggi: sfruttare la stampa per i propri interessi.
Invece, così come nel documentario Netflix, anche questa volta Harry ha preferito lasciarsi andare all’autocommiserazione, raccontando una storia che pecca di slancio vitale e personalità.
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