Cinema

Climax, l’infinita coreografia di Gaspar Noè, mai titolo fu più azzeccato | Recensione

Climax è un film del 2018 di Gaspar Noè. Nel 1996, in una scuola abbandonata, i ballerini di una compagnia di danza provano una coreografia, al termine della quale danno inizio a una festa. 

Durante la serata i ballerini bevono della sangria che si scopre essere stata corretta con LSD, per cui iniziano a subirne gli effetti.

Non esiste titolo più adatto. Climax: Figura retorica, detta anche gradazione o gradazione ascendente, consistente nel passare gradatamente da un concetto all’altro, via via più intenso.

Il film è costituito da sequenze che acquistano intensità gradualmente: dalla presentazione dei personaggi a inizio film, intervistati per entrare nella compagnia di danza, alla lunghissima coreografia iniziale, cui segue la contentezza per la riuscita e il party, fino ai primi effetti della droga.

Da qui il climax pervade la scena: tutti iniziano ad agitarsi e a essere sempre più confusi, così lo stomaco dello spettatore comincia a contorcersi. Via alla follia più assoluta: la manager della troupe, Emmanuelle viene accusata di aver messo l’LSD nella sangria che lei stessa aveva preparato, ma avendola bevuta riesce a smentire le accuse.

Vedendo il piccolo figlio Tito bere la sangria, decide di chiuderlo in una cabina elettrica per tenerlo al sicuro dai ballerini. Nel frattempo, le accuse passano agli unici due ballerini che non avevano bevuto, di cui uno viene chiuso fuori al gelo e l’altra costretta ad auto lesionarsi.

I dialoghi diventano sempre più strani, crudi e cattivi, la musica è quasi fastidiosa, accelerata, non dà tregua e ad essa si accodano le grida del bambino dalla cabina: tutto precipita nel caos.

Emmanuelle, in stato confusionale, persa la chiave della cabina elettrica, cerca invano di liberare suo figlio. A un certo punto la scuola ha un improvviso calo di corrente, e la donna si rende conto che Tito, che nel frattempo ha smesso di urlare, è rimasto fulminato.

Lo stato di confusione aumenta ancora, tutti iniziano a contorcersi sul pavimento, ad avere rapporti sessuali tra loro, a picchiarsi, a lavarsi in maniera compulsiva, tutti i movimenti si accelerano, la camera diventa più veloce, ruota intorno, riprende solo ciò che accade sul pavimento.

La mattina dopo, con l’arrivo della polizia, tutto si è placato, tutto tace.

Il film ha le sembianze di una lunga coreografia, tutto è sempre in movimento, si passa da una stanza all’altra senza interruzione, la telecamera segue gli spostamenti di ogni personaggio, accompagnandoli sinuosamente e in maniera quasi nauseante, come in un vortice.

Non ci sarebbe una coreografia senza la musica, che contorna le scene in maniera perfetta, impeccabile, come se fosse stata creata apposta per quelle scene e che rende bene la confusione che i ballerini e gli spettatori provano in quel momento.

Gaspar Noè ci lascia sempre senza fiato, e questa volta in senso letterale: siamo attraversati da un crescendo di pathos che aumenta e si ripiega su se stesso man mano che il film va avanti e noi non possiamo che restare con gli occhi incollati allo schermo a guardare. Come se per quei novantasette minuti fossimo inglobati nelle stesse dinamiche vissute dai protagonisti, vivendo quasi l’effetto di una droga.

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