“La figlia oscura”, un viaggio nelle ombre della maternità | Recensione
Il romanzo di Elena Ferrante, La figlia oscura, debutta al cinema sotto la guida di Maggie Gyllenhaal nel ruolo di regista.
La storia di Leda e Nina
Un adattamento che sposta l’ambientazione dal sud Italia alla piccola isola greca di Spetses, dove la protagonista Leda – interpretata da Olivia Colman – trascorre una vacanza in solitaria che le farà fare un tuffo nel passato.
“Quando ho finito di leggere La figlia oscura di Elena Ferrante, ho sentito che qualcosa di segreto e vero era stato detto ad alta voce. E fui disturbata e confortata da quella sensazione. Ho subito pensato a quanto più intensa sarebbe stata l’esperienza al cinema, con altre persone”.
Con queste parole Gyllenhaal spiega perché ha scelto di trasformare in un film il libro della scrittrice italiana.
Leda è una professoressa universitaria e traduttrice che incontrando in spiaggia una giovane mamma – interpretata da Dakota Johnson – viene catapultata in un tunnel di dolorosi ricordi legati alla sua vita passata.
Maggie Gyllenhaal porta sul grande schermo un argomento tabù piuttosto complesso: il peso che la maternità assume per alcune donne. Lo fa attraverso la storia di Leda e Nina, due donne di età diverse accumunate da un’esperienza negativa, che si vergognano ad ammettere.
Due mamme snaturate
Il film si addentra nei lati oscuri della maternità, dando voce a pensieri intimi, riservati, che non tutte sono in grado di esporre perché considerati disdicevoli.
Spesso si tende a glorificare la gravidanza e la successiva vita da madre, condannando chi non la vive con quell’entusiasmo che la società si aspetta.
Leda e Nina dimostrano che l’esperienza non è la stessa per tutte: la prima, sopraffatta dalle responsabilità, si è lasciata andare a un amante e ha scelto la sua carriera alle figlie. Così, arrivata al limite, ha chiuso dietro di sé la porta di casa ed è sparita per tre anni dalla vita delle piccole.
Nina, una giovane mamma, sta vivendo la sua stessa situazione a distanza di tempo: la si vede in spiaggia alle prese con una bambina che non le dà tregua. Sempre in cerca di attenzioni, non lascia un momento di riposo alla giovane mamma che è visibilmente al limite, sul ciglio di un esaurimento nervoso.
Così, le due donne si incontrano su una spiaggia greca, si confrontano e trovano il coraggio di dare alla luce un pensiero complesso e di cui spesso ci si vergogna, anche se profondamente umano.
Per la società la maternità è un istinto da accettare senza riserve, per Nina e Leda “una responsabilità schiacciante”. E nonostante Leda fosse al limite e abbia scelto la sua indipendenza, riconosce di aver sbagliato ad abbandonare le proprie figlie. Nessuno spettatore può punirla più di quanto non faccia già lei.
Il film, presentato alla 78 edizione della Mostra del cinema di Venezia, è privo di giudizio: potremmo paragonarlo a un flusso di pensieri, alla confessione di una madre che si spoglia di preconcetti e ammette tutte le sue debolezze più umane.