Teatro

Brigata Miracoli al Piccolo Bellini. Afrodite in chiave moderna mette uno specchio davanti alla società | Recensione

Dal 26 gennaio al 5 febbraio va in scena al Piccolo Bellini di Napoli il nuovo spettacolo di Vuccirìa Teatro scritto e diretto da Joele Anastasi, Brigata Miracoli.  

Il testo si ispira al mito di Afrodite e lo rivisita in chiave moderna ambientandolo in un quartiere degradato siciliano non meglio identificato. Afrodite era la dea greca della bellezza e dell’amore che si unì a un uomo mortale, Anchise dal quale ebbe Enea, proprio quell’Enea che avrebbe fondato Roma. In questo caso Anastasi inserisce la dea in un quartiere popolare appunto e la storia inizia con la sua sparizione.

In scena abbiamo cinque personaggi, rispettivamente Anchise (interpretato dallo stesso Anastasi), Enea, questa volta una figura femminile interpretata da Beatrice Vento, i genitori di Afrodite, rispettivamente interpretati da Enrico Sortino e Federica Carruba Toscano e infine la zia Mena, una donna dall’accento pugliese interpretata da Adelaide Di Bitonto.

Con la sparizione di Afrodite la luna sparisce ma cos’è questa luna? È davvero il satellite che tutti conosciamo o piuttosto quel satellite che fa da punto di riferimento rappresenta qualcos’altro? Di certo un’intera comunità va in tilt per l’improvvisa sparizione della ragazza. A mano a mano poi, dai racconti dei personaggi comprendiamo che tutta la famiglia della ragazza, bellissima, famosa e molto ammirata, basa l’intera economia della sua vita su di lei.

Afrodite va in onda in una sorta di trasmissione tutti i giorni ed è un po’ come le odierne influencer, ma evidentemente questa vita le doveva stare stretta perché a un certo punto Afrodite viene ritrovata, dorme e sembra non avere intenzione di risvegliarsi.

Non si tratta di un coma ma neppure di un sonno qualsiasi, probabilmente si tratta di un rifiuto alla vita. Questo chiamarsi fuori dalle scene da parte di Afrodite innesca una serie di pressioni su Enea, su di lei ricade il peso di un’intera vita, ma soprattutto il peso degli errori di un’intera famiglia.

Con questo spettacolo Gioele Anastasi usa la divinità greca come pretesto narrativo per raccontare altre forme di divinità e lo fa partendo dal concetto greco secondo il quale gli dei potevano assumere molte forme e agire nella vita dei comuni mortali affascinandoli e a volte anche soggiogandoli.

La domanda da cui si parte in questo caso è: quali sono le divinità del nostro tempo?

Lo schermo e l’influencer

Fin dall’inizio è evidente che in questa storia le divinità che vanno a rappresentare il nostro tempo e che, proprio come gli dei greci, assumono molte forme sono Amazon, Instagram, Google e con loro tutti i mezzi tecnologici di cui ci serviamo per usufruirne. Facendone ampio uso ne siamo influenzati, trasformati, sedotti, essi diventano come una droga di cui non possiamo fare a meno.

Tutto questo perché attraverso le telecamere di tali dispositivi tutti noi diventiamo protagonisti e come disse Andy Warhol abbiamo il nostro quarto d’ora di celebrità. Finiamo così per plasmare un’identità diversa dalla realtà, qualcosa che è altro da noi e attraverso la quale ci mostriamo come degli eroi.

Ritroviamo anche qui i temi di Vuccirìa Teatro, l’edonismo, la sensualità, la bellezza, il sesso (che sia visibile o suggerito) i corpi nudi che rappresentano l’umanità nella sua essenza e che non si limitano ad essere provocatori ma suggeriscono, in questo caso, ciascuno di questi temi, a seconda del personaggio che li abita. Di certo, malgrado Afrodite sia il faro, in questo casi l’amore si è perso o, peggio ancora, viene confuso con qualcos’altro.

Ritroviamo, come abbiamo visto nella scorsa stagione con David, la scenografia composta da elementi mobili e componibili che vengono agiti e modificati dagli attori, questi ultimi parlano il dialetto siciliano eccetto due interpreti, Di Bitonto e Vento, la prima parla in dialetto pugliese, la seconda in italiano.

Anche in Brigata Miracoli le immagini sono plastiche, quasi come se animassero un quadro e ciascuno dei personaggi ha una sua diversità e aggressività ben concertata con gli altri.

Aggressività è la parola che viene in mente più spesso mentre si ascoltano questi personaggi discutere tra loro dei loro problemi e mentre li osserviamo meschini parlarsi alle spalle oppure rispondere con violenza a quelle che dovrebbero essere persone da amare non possiamo fare a meno di vederli più simili ad animali feroci, bestie in gabbia con la chiave in tasca.

Gli basterebbe spegnere i loro dispositivi per smettere di essere schiavi, ma evidentemente ci vuole troppo coraggio per farlo e allora se questa vita schiava dello schermo ha fatto cadere qualcuno, si sostituisce la pedina mancante con un altro personaggio e si va avanti.

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