The Last of Us, la nuova serie tv ha mantenuto le altre aspettative che si era preposta? Recensione episodio 1

L’attesissima serie tv The Last of Us è finalmente arrivata, molti erano i dubbi per via dei tanti appassionati del videogioco, ha mantenuto la promessa di essere un grande prodotto?

The Last of Us

The Last of Us occupa un posto speciale nel cuore degli appassionati di videogiochi per molti motivi, tra cui il fatto che è probabilmente uno dei giochi più spettacolari mai realizzati.

Per questo motivo, quando è stato annunciato che il gioco sarebbe stato adattato per la TV dalla HBO, la fanbase si è interrogata: un gioco già così ricco dal punto di vista cinematografico ha davvero bisogno di essere adattato allo schermo? Gli attori scelti saranno all’altezza delle interpretazioni di quelli del gioco? Un nuovo adattamento comporterà modifiche alla storia originale?

A giudicare dal primo episodio di The Last of Us della HBO, gli amatori non hanno nulla da temere, a partire alle creature infette e i funghi assassini che aspettano di colpire ad ogni angolo, tutto è particolarmente fedele.

Il primo episodio, come i fan di vecchia data si aspettano, viene raccontato il tristemente famoso prologo del gioco, il salto temporale di 20 anni che accompagna la storia di Joel e la distopia unica di The Last of Us. Anche se non si tratta di una riproduzione fedele del primo capitolo del gioco, gli accorgimenti e le modifiche apportate alla storia sono apprezzabili e, sotto certi aspetti, migliorano l’originale.

The Last of Us

Sebbene in superficie possa sembrare un racconto horror ambientato in uno scenario post-apocalittico popolato da mostri infetti, come la maggior parte delle serie di questo genere, in realtà The Last of Us si concentra di più sulle relazioni.

In questo caso si tratta del rapporto tra il sopravvissuto Joel (Pedro Pascal), tormentato dalla perdita della figlia avvenuta 20 anni prima, ed Ellie (Bella Ramsey), un’adolescente caparbia in possesso di un segreto importante. 

Questa serie arricchisce il tutto con alcune sfumature narrative, quali un flashback di un talk show condotto nel 1968 in cui un epidemiologo (John Hannah) spiega che i funghi sono una minaccia per l’umanità ben più grave di qualsiasi virus, in quanto, in alcuni casi, possono impadronirsi dei esseri viventi, ad esempio le formiche e, in una prospettiva peggiore anche degli esseri umani.

La parola “pandemia” viene pronunciata con grande rilievo e si allude anche al riscaldamento globale. Sebbene tutto questo non sia presente nel gioco, aggiunge un elemento prezioso a un contesto reale in grado di giustificare in modo significativo la storia.

Successivamente si passa all’anno 2003, dove ci viene presentata la giovane Sarah Miller (Nico Parker), suo padre Joel e suo fratello Tommy (Gabriel Luna), insieme cercano di uscire vivi da Austin durante l’insorgere dell’epidemia di cordyceps.

Una delle caratteristiche principali del gioco era quella di mettere il giocatore al controllo di Sarah per un certo periodo, il che contribuisce a rendere ancora più devastante la sua morte alla fine del prologo.

La serie non può ovviamente offrirci lo stesso tipo di coinvolgimento, ma consente di passare del tempo in più con la giovane durante la giornata, quando fa riparare l’orologio di suo padre per il suo compleanno e mentre va a trovare i vicini di casa. L’interpretazione della Parker è estremamente sincera e commovente, il che rende il finale del prologo un pugno nello stomaco più duro di quello che si prova nel gioco.

Naturalmente non sorprende che Pedro Pascal sia eccezionale nel ruolo del burbero e scontroso Joel, poiché è praticamente perfetto in ogni ruolo che interpreta, tuttavia, quello che sorprende maggiormente è la somiglianza inquietante con il personaggio del videogioco.

La sua voce è molto simile a quella del personaggio originale, per non parlare dell’aspetto fisico che è quasi surreale, sembra che il videogioco si sia ispirato proprio all’attore per progettarlo.

Niente di tutto questo era indispensabile, intendiamoci, la Parker non assomiglia affatto alla versione di Sarah nel gioco, sebbene sia comunque straordinaria, ma il fatto che Pascal assomigli così tanto al Joel è un incredibile valore aggiunto per tutti quelli appassionati.

Nel momento in cui ci ritroviamo avanti di 20anni nella storia e incontriamo Joel in quella che una volta era Boston e adesso è una città devastata dal governo degli Stati Uniti trasformato in un regime dal nome FEDRA, riusciamo anche a capire, oltre al disagio provocato dal disastro degli ultimi anni che ha costretto le persone a sopravvivere in un mondo brutale post-apocalittico, anche tutto il disprezzo e l’odio per se stesso che prova Joel ancora in un profondo lutto e lacerato dagli anni di dolore per la morte della figlia Sarah.

Durante il viaggio, facciamo la conoscenza di Tess, sua confidente, interpretata da Anna Torv, assolutamente all’altezza della situazione capace di cogliere le sfumature necessarie al personaggio, la leader delle rivoluzionarie Marlene e, naturalmente, Ellie, a cui Marlene ha affidato a Joel e Tess il compito di farla uscire di nascosto dalla città.

La Ramsey si è fatta notare in Game of Thrones nel ruolo dell’impavida Lyanna Mormont, quindi la sua naturale capacità di incarnare personaggi più grandi della sua età è ben evidente anche nel ruolo di Ellie. Lei, Pascal e Torv non danno la sensazione di star semplicemente imitando le loro controparti videoludiche, ma anzi, hanno apportato una propria interpretazione al soggetto. 

Tuttavia non si può negare che i dialoghi, oltre allo stesso materiale di partenza, non si allontanano molto da quella che è la sceneggiatura del gioco, alcune battute sono ripetute uguali identiche, di certo questa non vuole essere una critica, anzi una mossa molto intelligente, visto che il videogioco ha dei testi estremamente ben curati.

Non è un’esagerazione dire che Pascal e la Ramsey insieme fanno faville, vedere Joel allontanarsi dall’idea di entrare in contatto con una ragazza dell’età di Sarah spezza il cuore, e la Ramsey è impeccabile nel cogliere il punto cruciale di Ellie, nonostante il mondo incasinato dal quale proviene, conserva per miracolo un certo grado di speranza e di meraviglia che le permette di proteggersi dalla corruzione, e non solo, riesce anche a far emergere il lato astuto e coraggioso del personaggio.

Questa serie non è solo stata accolta con favore da critica e pubblico per la bravura dei personaggi, The Last of Us è stata in grado di riportare in modo eccellente le ambientazioni e l’estetica unica del videogioco adattandolo alla visione sullo schermo.

Possiamo cogliere i colori della terra arida, la forte saturazione e l’illuminazione intensa, la particolare vegetazione che ha ormai infestato gli alti e distrutti palazzi che una volta caratterizzavano la città, sentiamo la desolazione delle strade abbandonate, nulla è fuori posto e tutto è nel caos.

Ma è nel finale del primo episodio che abbiamo la scena chiave capace di stabilire la posta in gioco che determinerà l’intera stagione, i tre fuggitivi si trovano faccia a faccia con un soldato della FEDRA mentre scappano dalla zona di quarantena, lui li tiene sotto tiro con il suo fucile, peccato che si tratti dello stesso uomo con cui Joel spaccia pillole e sigarette in cambio di favori.

Proprio in quel momento abbiamo un flashback di Joel che abbraccia la figlia poco prima che le sparino, una situazione analoga a quella in cui si trovano, così preso da un raptus inizia a prendere a pugni il soldato fino a farne carne da macello. Quella scena trasuda di inquietante consapevolezza, nel profondo lui rivede la sua Sarah in Ellie e questo lo rende davvero molto pericoloso oltre che disperato.

Grazie alla presenza di Craig Mazin autore della serie di grande successo Chernobyl nella veste di showrunner e del regista del gioco Neil Druckmann come co-showrunner, The Last of Us ha tutte le premesse per essere un degno adattamento di uno dei migliori videogiochi di sempre.

Soltanto il tempo ci dirà se la serie sarà all’altezza dell’eredità che si porta dietro, ma se il primo episodio è indicativo del viaggio che ci aspetta, allora possiamo dire che sono sulla buona strada.