Qualche anno fa una serie di illustri critici ha accolto la sfida della BBC ossia quella di decretare il più bel film del secolo: il responso è stato Mulholland Drive di David Lynch. Il film del regista statunitense, uscito nel 2001, è ora sul Prime Video. Mulholland Drive, a distanza di vent’anni non ha perso ancora il suo incredibile fascino ed è per questo che si riconferma come una delle più belle opere d’ingegno del cinema di sempre.
Quando la BBC ha decretato che Mulholland Drive fosse il più bel film del secolo secondo il parere di 177 illustri critici cinematografici, nessuno ha realmente obiettato. Mulholland drive è di fatto uno degli esperimenti visivi più complessi, immersivi e profondi che la settima arte abbia mai “sfornato”.
Il merito, per certo, è del grande regista statunistense David Lynch che con il suo occhio investigativo ha portato alla luce un capolavoro filmico in grado di trasportare gli spettatori in un universo surreale, dove la realtà si confonde con il sogno ed il sogno si tramuta, a sua volta, in puro oblio.
Mulholland Drive mette in crisi le regole standardizzate del cinema per proporre una narrazione interrotta, con un ordine cronologico ribaltato e la costruzione di un immaginario disturbante che mescola più generi cinematografici.
Sebbene Mulholland Drive a livello di comprensione narrativa possa sembrare un lungometraggio alquanto destabilizzante, durante la seconda visione, invece, svela le sue carte nascoste risultando ben più chiaro. Fortuna, quindi, che proprio Prime Video ha deciso di inserirlo nel suo catalogo in modo da permettere agli amanti del cinema di poter fruire più volte di questo indiscusso capolavoro.
L’aspirante attrice Betty interpretata da Naomi Watts si trasferisce dall‘Ontario a Los Angeles per cercare di sfondare ad Hollywood. Farà la conoscenza di una donna misteriosa sopravvissuta ad un incidente d’auto che però le ha provocato una perdita di memoria. Le due inizieranno una sorta di relazione saffica mentre si destreggiano tra i vari misteri che circondano la loro vita.
Intanto, insieme provano a scoprire l’identità della donna che Betty chiamerà Rita, un’indagine che porterà le due amiche ad una macabra scoperta: il terrificante cadavere di una donna. Chi è questa persona? Quali sono le origini di Rita ed il suo vero nome? La prima parte del film è ricca di interrogativi, di frammenti di un racconto che a conti fatti non conducono in nessuna direzione.
Come se si trattasse di una grottesca presa in giro del regista che schernisce lo spettatore alternando momenti di ilarità ad altri di grande tensione. E mentre Lynch combina Noir, Thriller, Commedia e non solo, Rita e Betty si ritrovano nel misterioso Club del Silencio dove assistono ad una commovente performance.
Il tempo è finito ed è giunto il momento della grande soglia per i nostri protagonisti. Quando Betty ritrova nella sua borsa una scatoletta blu con una chiave non può fare a meno che girare per essere trasportata in un turbinio sensoriale in cui le certezze si frantumano inesorabilmente proprio come si esaurisce quel tipo di esperienza visiva.
E’ nella seconda parte del film che, quindi, viene spiegata la reale storia delle due protagoniste rivelando una verità sconcertante. Una verità sì difficile ma che fa scivolare via tutte quelle tensioni seminate da Lynch durante la prima parte di Mulholland Drive. Betty è in realtà Dana, un’attrice di scarso successo che ha una relazione con Camilla, vero nome per Rita.
Le due, però, si lasciano a causa di Camilla la quale intraprende una relazione con il regista, Adam Kesher, ( Justin Trudeax) già raccontato in maniera bizzarra all’inizio del pellicola. Dana, ferita dall’abbandono della collega e della sua amante, decide di assoldare un sicario per uccidere la sua ex fidanzata. In preda ai sensi di colpa proprio Dana si ammazzerà non prima di sognare negli ultimi istanti della sua miserabile vita un’altra realtà possibile, un finale alternativo per sé stessa il quale è stato abilmente messo in scena da David Lynch nell’inziale sezione del film.
Al termine della visione del film, quindi, ci si chiede spaesati: perché, allora, raccontare una storia per un’altra? Perché perdere tempo quando la verità viene svelata solo alla fine? Per David Lynch nessun frammento, scena o sequenza è messo lì casualmente anche se pare incastrarsi poco con il flusso logico del film.
Questo perché come lui spesso ha dichiarato ma anche come ha mostrato con i suoi lungometraggi, il cinema non è solo una mera concatenazione di eventi, fatti che accadono seguendo il principio di causa-effetto. Il cinema è scomparire nelle sue braccia amorevoli, lasciarsi trasportare da una visione scomoda, inquisitoria mentre si smarscherano i suoi ironici tentativi di illudere lo spettatore.
Perché, allora, fermarsi alla risposta più semplice, quando ad una domanda ci potrebbero essere molteplici spiegazioni? David Lynch, attraverso il suo Mulholland Drive e il suo cinema in generale dimostra come sia possibile perdersi nell’esplosione sensoriale dei film per mero scopo di godere di quell’unica esperienza.
Arrovellarsi nello scoprire le tante citazioni del regista in Mulholland Drive, i riferimenti extra ed intra-diegetici del film stesso, sotto questa ottica, perde di significato. Il cinema è la nostra grande opportunità per allagare lo sguardo verso un mondo inedito, fuori dalle fastidiose regole del reale dove è possibile esistere in qualsiasi forma si preferisca
Betty/ Dana rimane, così, inerme quando scopre la sua vera natura vendicativa. Alla razionalità, all’evidenza dei fatti preferisce un universo sognante all’interno del quale edifica per sé una personalità ipotetica, la persona che avrebbe voluto in realtà essere.
E noi spettatori proprio come Betty/Dana, forse, siamo in grado di apprezzare di più la versione onirica del controverso lungometraggio di Lynch seppur nella sua più inquietante incoerenza.
Quando Mulholland Drive diventa maggiormente didascalico, forse, perde quella magnificenza cinematografica costruita da Lynch all’inizio dove comandano personaggi strambi, perturbanti o fuori dalle righe. Tuttavia, il film ne guadagna in conoscenza narrativa in quanto nel cinema di Lynch convive necessariamente una condizione dualistica dell’esistenza.
Ragione e sogno coesistono ma tra gli sconfinati percorsi dell’inconscio e dell’anima, il regista suggerisce, tra le righe di un cinema unico nel suo stile visionario, che il mondo onirico pesuade inevitabilmente la razionalità. O Almeno è ciò che accade durante le due incredibili ore di un film di David Lynch.
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