Il regista Oriol Paulo incontra il romanzo spagnolo del 1979 Los renglones torcidos de Dios di Torcuato Luca de Tena, dando vita ad un thriller psicologico intricato e coinvolgente che prende luogo in un ospedale psichiatrico. Il film è disponibile su Netflix.
Quando Dio imparò a scrivere inizia con un viaggio in macchina che si addentra in una bellissima foresta e giunge ad un elegante struttura immersa nel verde. Questo contesto può apparire tanto bucolico quanto spaventoso: un luogo isolato, profondo e senza via di fuga.
Nel corso della sua narrativa invece il viaggio è più spirituale ma altrettanto profondo. L’edificio è un ospedale psichiatrico che ospita centinaia di pazienti, il luogo per eccellenza dove la mente umana viene esplorata e la realtà si distorce.
Il racconto utilizza l’espediente della cura psichiatrica per assorbire lo spettatore con misteri, allucinazioni e dubbi di Shutter Island-iana memoria. La protagonista infatti, l’investigatrice Alice Gould de Almenara, fa in modo di farsi ammettere nella struttura gestita dal primario Samuel Alvar per indagare su un oscuro sucidio e ne diventa a tutti gli effetti una paziente.
Le esperienze nell’ospedale sono figlie di una ricerca dell’autore del romanzo, Torcuato Luca de Tena, che visse per diciotto giorni in una clinica simile per poter rappresentare con più cura possibile la realtà degli internati e del personale medico.
Alice Gould è interpretata da Barbara Lennie, che senza dubbio regge il ritmo del film dal punto di vista recitativo. Lennie passa da brillante detective a paziente indifesa a donna mentalmente allucinata. Gli occhi dello spettatore corrispondono in gran parte a quelli di Alice e noi insieme a lei ci avventuriamo in un dedalo di verità e menzogne.
La sua nemesi è il primario Alvar, interpretato da Eduard Fernandez. Cinico, sicuro di sé e dalla dubbia moralità, non diventa mai un cattivo vero e proprio, ma più volte rimaniamo colpiti dalle sue sfumature di grigio.
Gli altri personaggi si dividono in due categorie: personale e pazienti. I medici sono attratti e respinti da Alice, indecisi se credere alle sue parole o alla medicina stessa; i pazienti sono invece vicini alla donna e la vedono come propria pari, aiutandola nel momento del bisogno.
La regia di Oriol Paulo è precisa e concorde al momento della storia: quando Alice ha il controllo appare più stabile e spaziosa, mentre si incupisce e si distorce quando lei subisce le macchinazioni di Alvar o della sua stessa mente. Lo stesso discorso di applica alla fotografia di Bernat Bosch, ora calda e solare, ora fredda e spietata.
Cos’è la verità? Esiste nel mondo, oggettiva e matematica, oppure è solo una creazione discrezionale del nostro cervello? Basti pensare ai colori, che vari esseri viventi sulla Terra vedono in maniera e quantità diversa. Di che colore è il tronco di un albero, dunque?
Di fronte ad un quesito tale la nostra mente si smarrisce in un labirinto di ragionamenti. Quando Dio imparò a scrivere ce lo fa ben capire buttandoci dentro un mondo in cui ogni persona vede una verità diversa. Romolo pensa che la ragazza silenziosa sia sua sorella, mentre l’Uomo Elefante pensa che sia la sua compagna. Entrambi hanno torto e ragione.
“Se Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza come fossimo il risultato di una scrittura perfetta, i pazienti che finiscono qui sono le righe storte che venivano fuori quando Dio stava imparando a scrivere. Che razza di Dio permette così tante imperfezioni?” è la domanda del cinico Alvar ad un poliziotto. Questo “essere imperfezioni” non è la verità assoluta ma solo il punto di vista di un egocentrico burattinaio.
L’altra verità, altrettanto relativa, è che queste “righe storte” siano differenze da cui poter trarre una visione delle cose completamente diversa ed innovativa. Risponde infatti il poliziotto ad Alvar: “Sono convinto che Dio abbia un piano anche per loro”.
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