Pinocchio di Guillermo del Toro vi farà dimenticare la Disney. Recensione
Pinocchio merita di essere rivisto e approfondito, probabilmente richiederà del tempo per essere compreso appieno nella sua ingannevole semplicità narrativa.
Questo non è il Pinocchio dello zio Walt! Il bambino di legno è stato un simbolo della Walt Disney Company fin dall’uscita del classico d’animazione originale nel 1940, e nemmeno uno sconsiderato remake in live-action realizzato dalla Mouse House pochi mesi fa è riuscito a infangare la reputazione dell’originale.
Chi guarderà questa nuova versione in stop-motion, completamente indipendente, co-diretta da Guillermo del Toro e Mark Gustafson, si troverà di fronte a un’oscura sorpresa e, per fortuna, anche a una certa gioia.
Il Pinocchio di Del Toro è quanto di più diverso si possa immaginare da quello della Disney, e non solo perché si tratta di stop-motion e di animazione tradizionale. Per prima cosa, questa è chiaramente la visione di Del Toro e, sebbene possa far fare qualche brutto sogno ai più piccoli, contiene tuttavia la sensibilità del maestro nel raccontare storie gotiche (ancora di più rispetto ai momenti più cupi del film del 1940).
In Pinocchio di Guillermo del Toro si affrontano molti degli stessi temi che permeano i film rivolti a un pubblico adulto, tra cui la perdita, la morte, la memoria, la paura dell’ignoto e, soprattutto, la sensazione di essere estranei al mondo che ci circonda. Questo è testimoniato dalla scelta del regista di utilizzare il protagonista in legno, non il burattino colorato e dall’aspetto umano di un tempo, ma una figura in legno incompiuta e scheletrica, con buchi al posto degli occhi e una testa spigolosa sprovvista di volto.
Questo è ciò che Geppetto riesce a creare in una notte di tempesta, in preda all’ubriachezza e al dolore, dopo che il suo vero figlio, Carlo, è stato ucciso da una bomba caduta sulla chiesa della loro piccola città italiana durante la Prima Guerra Mondiale. Geppetto è un falegname e usa il legno dell’albero cresciuto da una pigna piantata da Carlo per creare il burattino. Una fata conosciuta come folletto del bosco, vedendo il dolore provato da Geppetto, dona a Pinocchio la vita nel tentativo di alleviare la sofferenza del vecchio.
Ad osservare tutto questo troviamo un grillo erudito e un po’ pomposo di nome Sebastian il grillo, il quale si trova a essere il narratore della vicenda da una posizione ‘privilegiata’. Nel momento in cui Geppetto inizia a scolpire Pinocchio, usa proprio la parte in cui Sebastian aveva deciso di abitare, per fare il busto del burattino, il suo nido risiede proprio dove adesso dovrebbe esserci il cuore.
Sebastian viene incaricato dal folletto del bosco di agire come bussola morale e coscienza del ragazzo di legno, un compito più arduo di quanto si possa pensare. Questo Pinocchio dapprima risulta irritante, ed eccessivamente esuberante, impulsivo e fortemente egocentrico, come la maggior parte dei bambini.
Geppetto è sbalordito dal fatto che la sua piccola scultura di legno abbia preso vita e cerca di farlo diventare in sostanza un nuovo Carlo, ma Pinocchio ha altri piani, così come il proprietario di un luna park itinerante/mercante di nome Conte Volpe, il quale vede immediatamente del potenziale nell’avere nel suo spettacolo un burattino che non ha bisogno di fili.
Ogni versione di Pinocchio è basata apparentemente sul romanzo Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi del 1883, ma del Toro non sente l’obbligo di rimanere pedissequamente fedele al libro o alla versione Disney. Molti degli elementi fantasiosi della storia, come il Gatto e la Volpe, le escursioni di Pinocchio nel Paese dei Balocchi e l’improvvisa comparsa di orecchie da asino, non compaiono, mentre il burattinaio bieco del libro, Mangiafuoco, viene trasformato nel ben più malvagio antagonista principale, Volpe.
Del Toro (che ha co-scritto la sceneggiatura con Patrick McHale) aggiunge anche la sorella del folletto del bosco, la Morte, la cui presenza ultraterrena aiuta a educare Pinocchio su cosa significhi essere una creatura vivente. Del Toro ambienta le avventure sullo sfondo dell’ascesa di Mussolini e dell’avvento della Seconda Guerra Mondiale.
Collocare un racconto soprannaturale sulla perdita dell’innocenza di un bambino in un contesto di guerra collega Pinocchio ai precedenti capolavori live-action di del Toro, La spina del diavolo e Il labirinto del fauno, ma in questo caso non si tratta tanto del modo in cui queste circostanze danneggiano il bambino, quanto del modo in cui Pinocchio si oppone alle forze che pretendono che il mondo intorno a lui si conformi alla loro volontà.
Il concetto secondo cui ogni essere vivente dovrebbe essere amato per quello che è – e non trattato come un mostro o un fenomeno da baraccone – rappresenta anche una connessione tematica diretta con La forma dell’acqua e con il suo progetto non realizzato, Frankenstein (a proposito di progetti non realizzati, la gigantesca creatura marina che inghiotte Pinocchio e i suoi amici è decisamente lovecraftiana, forse un cenno alle speranze irrealizzate di del Toro nell’adattare Alle montagne della follia).
Con tutto il rispetto per il classico Disney, questo è forse il Pinocchio più bello a livello visivo, la stop-motion è meravigliosa dall’inizio alla fine, e la tavolozza di colori tenui e brillanti che del Toro utilizza nel corso della storia offre una sfilata infinita di immagini sontuose. Le nubi minacciose che preannunciano la guerra, l’inquietante bagliore blu del folletto del bosco e della Morte, la consistenza e la profondità dei personaggi e delle ambientazioni ne fanno una meraviglia per gli occhi.
D’altra parte però, con quasi due ore di durata, Pinocchio talvolta si trascina e può iniziare a sembrare eccessivamente lungo, anche la presenza di una manciata di canzoni (con musiche di Alexandre Desplat e testi di del Toro e altri) sembrano superflue e senza senso, soprattutto perché le canzoni in sé non sono particolarmente memorabili o importanti per la narrazione.
Ciononostante, Pinocchio è stato a lungo un progetto della lista dei desideri di del Toro, e si può dire che vi abbia riversato il suo cuore e la sua anima. Il film è adatto a tutte le età, dagli adulti ai bambini piccoli (meglio se accompagnati dai genitori), e il suo messaggio finale sull’imparare a vivere bene con il tempo che si ha a disposizione è toccante e fin troppo attuale.
Nel corso degli anni sono state realizzate molte versioni di Pinocchio, e altre potrebbero ancora emergere, ma Guillermo del Toro può cancellare questo film dalla sua lista e sapere di potersi collocare con orgoglio accanto alla pietra miliare della Disney del 1940.