Qualcuno volò sul nido del cuculo al Bellini di Napoli. De Giovanni e Gassmann adattano il romanzo di Ken Kesey
Qualcuno volò sul nido del cuculo è il romanzo del 1962 scritto da Ken Keseynel e che si ispira alla sua esperienza come volontario in un ospedale psichiatrico della California.
La storia racconta attraverso lo sguardo di Randle McMurphy la storia di un fuorilegge che finge di essere matto per sfuggire alla galera e una volta internato incontra un parterre di malati di mente, ciascuno con la propria storia alle spalle.
Questa esperienza servirà al protagonista per scoprire quanto è drammatica la vita in un manicomio e a quali maltrattamenti sono sottoposti i pazienti.
Nel 1971 il libro divenne poi un prodotto teatrale messo in scena a Broadway da Dale Wasserman che ne trasse un adattamento scenico che divenne poi la base della sceneggiatura dell’omonimo film di Miloš Forman, interpretato da Jack Nicholson e intorno al quale c’è una storia curiosa.
Nella produzione di questo film c’era Kirk Douglas che voleva interpretare il protagonista del romanzo ma le trattative per i diritti del libro e tutte le dinamiche contrattuali andarono avanti per molti anni e alla fine fu scelto Nicholson perché nel frattempo Douglas era fuori età.
Lo spettacolo teatrale è stato adattato per la scena del Bellini da Maurizio de Giovanni a partire dalla drammaturgia di Wasserman. Naturalmente, trattandosi di uno degli scrittori napoletani più apprezzati la storia è stata spostata a Napoli però con le stesse dinamiche.
Randle McMurphy, il protagonista diventa Dario Danise, una sorta di scugnizzo napoletano e la vicenda si sposta nel 1982, nell’Ospedale psichiatrico di Aversa. A interpretare il personaggio diretto da Alessandro Gassmann ritroviamo Daniele Russo, già protagonista per Gassmann di Fronte del porto.
Nel cast, oltre Daniele Russo, troviamo anche Alfredo Angelici, Emanuele Maria Basso, Gaia Benassi, Renato Bisogni, Antimo Casertano, Sergio Del Prete, Franklyn Gliozzi, Viviana Lombardo, Daniele Marino, Mauro Marino, Giacomo Rosselli.
Gassmann e De Giovanni si allontanano dalla fonte
Di certo dello spettacolo è rimasta la componente emozionale e i personaggi sono davvero tridimensionali e bene interpretati, specialmente i comprimari, ma di certo ci sono degli elementi che a mio avviso costituiscono dei punti di debolezza dello spettacolo a cominciare proprio dalla trasposizione napoletana che di certo strizza l’occhio a un certo pubblico che apprezza molto l’ambientazione partenopea, ma dal mio punto di vista in questo modo la storia è troppo confinata nel napoletano e perde il suo carattere di universalità.
La scelta del velatino per integrare alcune scene con altre servite in modalità audiovisiva risulta eccessivamente straniante e superfluo, soprattutto se si sceglie di rappresentare le scene più drammatiche con questo artificio. Il velatino ha senso, a mio modesto avviso, solo nel caso in cui l’attore in scena interagisce con l’audiovisivo.
La scenografia curata da Gianluca Amodio riprende una reale struttura architettonica psichiatrica con più livelli di azione, tanto da sembrare un reale ospedale, ma il testo è talmente forte di perse che si sarebbe potuto mettere in scena anche con un palcoscenico vuoto.