Cinema

Sto pensando di finirla qui, quante migliaia di occasioni abbiamo mancato nella vita? Recensione

Sto pensando di finirla qui (I’m Thinking of Ending Things) è un film del premio Oscar Charlie Kaufman del 2020, scritto e diretto sulla base del libro omonimo del 2016 di Iain Reid.

Ancora una volta il genio creativo del regista statunitense stupisce, incatena allo schermo, trasporta in un mondo parallelo, il suo mondo, in cui siamo più che felici di entrare.

Un cinema d’autore a tutti gli effetti per cui, soprattutto per gli amanti di Kaufman, non risulterà difficile intuire che, a differenza di quanto può sembrare dalle prime sequenze del film, si tratta in realtà di tutt’altro che una trama lineare e già definita dalle prime parole dell’io narrante: una ragazza, Lucy, che vuole porre fine alla sua relazione con Jake, il suo ragazzo: “Sto pensando di finirla qui”.

La voce di Lucy fuori campo è un susseguirsi di pensieri che si aggrovigliano e si susseguono facendoci sentire come se fossimo nella sua testa, il che è reso meravigliosamente attraverso una regia che lo fa percepire visivamente: esemplare la scena di Lucy che scende le scale, in maniera ripetitiva e compulsiva.

Riusciamo, dunque, quasi a instaurare un rapporto di confidenza con lei, ascoltiamo quello che dice, tutti i suoi pensieri e, come confessa lei stessa (citando il fidanzato Jake): “un pensiero può essere più vicino alla verità, alla realtà di un’azione, puoi dire qualunque cosa, fare qualunque cosa ma non puoi fingere un pensiero”.

In qualche modo ci avverte dal primo momento che quello che stiamo per guardare è una serie di fatti che non coincidono con la verità del suo pensiero, anche se ancora non lo sappiamo. Lucy e Jake sono diretti a casa dei genitori di lui, che abitano in una fattoria lontana dalla città in un posto non ben definito.

Durante il tragitto in macchina inizia ad addensarsi la bufera, la neve si fa fittissima e grazie a una ripresa che inquadra i due dall’esterno della macchina, riusciamo a immergerci nei suoni del vento e della neve che cade tempestivamente, e che ricorda lo scenario di “Ghiaccio”, il libro di Anna Kavan del 1967, tanto da essere citato, a un certo punto, da Jake stesso.

Tutto è infatti incanalato entro un altalenarsi di piani temporali diversi, e in una vicenda che si trova a metà tra il reale e la dimensione onirica. In macchina inizia un lungo dialogo tra Lucy e Jake, dal quale riusciamo a percepire alcuni dettagli:

Lucy studia fisica, deve scrivere una relazione entro mercoledì e ha fretta di tornare a casa la sera stessa. Lucy scrive poesie, e ne recita una intitolata “Ossa di cane”, che parla della solitudine e del senso di vuoto che si prova tornando a casa. Una poesia così straziante e tagliente che pervade in maniera coerente il paesaggio desolato e innevato in cui si trovano i protagonisti.

Jake è acculturato, un lettore affamato e appassionato di musical, in particolare Oklahoma, di cui la musica ascoltata in radio diventa il collante con la scena successiva, ambientata in una scuola, in cui dei ragazzi interpretano il musical osservati da un bidello, e in sottofondo la voce di Jake racconta come questi attori da adulti finiscano a lavorare nei supermercati.

L’immagine del bidello del liceo è ricorrente e si alterna alla vicenda principale nel corso del film, e lo vediamo anche guardare una commedia romantica in televisione, che ha come protagonisti due amanti che discutono in un ristorante.

Durante la cena con i genitori, tra i vari momenti di imbarazzo che rivelano il carattere insofferente e se vogliamo irascibile di Jake nei confronti della madre, Lucy ora chiamata Luisa, racconta il loro primo incontro.

I due parrebbero essersi conosciuti durante una serata quiz dell’università, quando Jake, che la guardava da tutta la sera, le si è avvicinato per parlare. Tuttavia, durante lo stesso racconto viene fuori che lui non le ha mai rivolto la parola.

Più avanti nel film, infatti, le dinamiche del loro primo incontro cambiano: si sono conosciuti in un ristorante dove Lucy, Luisa, chiamata ora Lucia, lavorava come cameriera, giustificando in questo modo il bisogno impellente di tornare a casa la sera stessa.

Così, all’occhio di uno spettatore attento pare che la commedia romantica guardata dal bidello in televisione sia in realtà la loro storia, tanto che a un certo punto nel viaggio di ritorno in macchina Lucy prende, per un istante, le sembianze dell’attrice della commedia.

Qual è dunque la verità e quale il fine di tutto questo mistero, e dov’è finito il movente iniziale del film? Lucy deve rispondere a una domanda, come viene ripetuto nelle continue chiamate ricevute sul cellulare da una certa “Lucy/Yvonne” con voce maschile simile a quella del bidello, il quale all’inizio del film lo avevamo visto affacciarsi alla finestra ponendosi lo stesso problema “una domanda a cui dare risposta”.

Chi è Lucy o Luisa, o Lucia, Yvonne, o ancora Ames come verrà chiamata in seguito da Jake? Dopo aver cenato dalla cucina la scena si sposta in salotto, dove Lucy nota una foto appesa al muro che la ritrae da bambina, mentre Jake sostiene si tratti di lui da piccolo.

Così comincia a farsi strada l’idea che i due protagonisti inizino a confondersi in un unico personaggio, il che diventa più evidente quando Lucy si reca in cantina dove trova i suoi dipinti (quelli di cui parla a cena con i genitori) firmati da Jake, o quando si ritrova cameretta di Jake da bambino, dove trova un libro di poesie contenente la poesia “Ossa di cane”.

Nel frattempo, prende piede in maniera netta l’andirivieni di piani temporali diversi: i genitori si muovono per la casa invecchiano rapidamente, per poi tornare giovani senza una scansione cronologica e tutto nello stesso luogo, tutto osservato da Lucy interna ed esterna alla scena.

“Alle persone piace pensare di essere come punti che si muovono attraverso il tempo, ma io credo che probabilmente sia il contrario, noi siamo fermi e il tempo passa attraverso di noi, soffiando come il vento freddo, rubandoci il nostro calore, lasciandoci, screpolati congelati, morti”, pensa Lucy durante il viaggio di ritorno, sentendosi come il vento.

Il viaggio di ritorno riprende la sequenza iniziale dei due in macchina che dialogano ininterrottamente e vorticosamente, mentre decidono di sostare in un macabro posto insolito nel mezzo del nulla e di una bufera di neve, il quale dovrebbe in realtà essere un luogo innocente e infantile: il “Tulsey Town”, una catena di gelaterie.

Qui la dimensione onirica sembra prendere il sopravvento: nella gelateria appaiono tre ragazze di cui due intente a ridacchiare sotto i baffi guardando Jake in evidente imbarazzo, e l’altra in disparte che serve loro il gelato e mette in guardia Lucy di non proseguire il viaggio con Jake.

È in questo luogo non luogo che Jake chiede a Lucy se avesse mai letto “Ghiaccio” di Anna Kavan. A parte lo scenario e l’atmosfera gelida, altri spunti del libro che ritroviamo nel film rimandano al rapporto madre-figlio, nel dialogo tra Jake e Lucy, in cui viene detto che le insicurezze di un figlio derivano spesso da una madre opprimente ed esigente; in più si noti il singolare rapporto tra Jake e la madre.

Un altro tema potrebbe essere quello della figura femminile in una società patriarcale, meno esplicito, che vede l’uomo in dominare sulla donna, pretendere che si tratti di un suo diritto “possedere” ed essere compiaciuto.

Dopo la sosta i due si ritrovano davanti a una scuola, il liceo di Jake, che intento a buttare il gelato a tutti i costi, decide di fermarsi proprio lì e una volta sceso dall’auto scompare. Così Lucy lo segue e entra nella scuola cercando aiuto imbattendosi nel bidello. Lucy inizia a raccontargli di come non si ricorda che aspetto abbia Jake perché trascorso molto tempo da quando lui quella sera del quiz la guardava senza mai rivolgerle la parola.

“Una domanda a cui dare risposta”: Chi è Lucy? “Una delle migliaia non relazioni della mia vita”, dice al bidello, ma a questo punto a parlare è forse Jake. Lucy è una proiezione di quello che Jake avrebbe potuto avere, di quello che non è mai stato e che Marquez descriverebbe come “tutti gli amori che avrebbero potuto essere e che non erano stati”. Lucy è Lucia, Luisa, Ames, è la Lucy dei poemi di William Wordsworth e ce lo aveva già detto Jake a inizio film.

Il film si trasforma in opera teatrale: un musical inserito nel film vede due attori interpretare Lucy e Jake che danzano e si sposano, mentre il bidello alla fine uccide il giovane Jake.

Il bidello esce dalla scuola ed entra nel suo furgoncino, fuori continua a peggiorare il gelo e si ritrova nudo e quasi ibernato. A un certo punto si trova a seguire la sagoma animata di un maiale parlante divorato dai vermi (lo stesso di cui Jake parla all’arrivo in fattoria a Lucy) e rientra a scuola.

Ed ecco Jake sul palco. Ecco il vero protagonista del film. Ecco che il bidello diventa Jake, Jake che è sempre stato il bidello, il bidello che offre di nuovo le pantofole a Lucy prima di camminare per la scuola, come aveva fatto Jake appena entrati in casa.

Jake che avrebbe voluto essere un’artista, un poeta, un attore, o semplicemente prendersi le responsabilità delle sue scelte. Il maiale così potrebbe rappresentare l’inerzia di un corpo lasciato a sé stesso e divorato dal passare del tempo, della vita.

Jake sul palco è un memorabile Russel Crowe nei panni del matematico John Nash, che ritira il premio dichiarando il suo amore alla moglie, riportando le stesse meravigliose e iconiche parole che concludono il discorso di Nash “Tu sei la ragione per cui io esisto. Tu sei tutte le mie ragioni”. Una straziante canzone intonata da Jake ricorda la desolazione della poesia “Ossa di cane”.

Sto pensando di finirla qui è, allora, la storia di un uomo che ha perso le sue migliaia occasioni, che ha visto scorrere la sua vita senza esserne protagonista ma soltanto uno spettatore, e che da sempre ha visto “senza speranza tutto”.

“Non ci vedi e sei invisibile e hai fatto così tante scelte sbagliate, è tutto una bugia, [il fatto] che andrà meglio, che non è mai troppo tardi che Dio ha un piano per te, che l’età è solo un numero, che è sempre più buio prima dell’alba, che dietro ogni nuvola c’è un raggio di sole, che c’è qualcuno per tutti noi”, e alla fine il tentativo di Jake di “farla finita” è lasciarsi congelare nel furgoncino, che compare nuovamente alla fine e la cui immagine si allontana lentamente dalla telecamera, lasciandoci con la nostra “domanda a cui dare risposta”.

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