Questa serie impeccabile e dinamica, incentrata su uno chef di talento alle prese con la caotica paninoteca di famiglia, è davvero perfetta. Da leccarsi i baffi!
The Bear, in streaming su Disney+, ha un nome azzeccato, guardarlo significa vivere un’esperienza a metà tra un enorme abbraccio avvolgente e un enorme aggressione lacerante. La premessa è semplice – il prodigo ritorna a casa – non particolarmente innovativa come trama, tuttavia, l’esecuzione è eccezionale. Interpretazioni impeccabili, una regia di una bellezza sconfinata e una sceneggiatura sobria e accattivante, tutte caratteristiche che si rivelano altrettanto valide sia nei momenti più tranquilli sia in quelli più chiassosi, trasformano la storia in qualcosa di veramente speciale.
Carmen “Carmy” Berzatto (Jeremy Allen White, al suo primo ruolo televisivo da protagonista e di sicuro successo) è un giovane chef pluripremiato di New York tornato nella sua città natale, Chicago, per gestire la paninoteca di famiglia dopo il suicidio del fratello Michael.
Nel testamento, Michael ha lasciato la paninoteca The Original Beef a Carmy, insieme al variegato gruppo di persone con cui gestiva il locale.
Tra questi, il migliore amico di Michael, Richie (Ebon Moss-Bachrach), un idiota; il panettiere Marcus (Lionel Boyce), dolce e tranquillo e la bellicosa Tina (Liza Colón-Zayas), Jon Bernthal nel ruolo di Michael appare in brevi e strazianti flashback. La nuova risorsa assunta da Carmy è l’ambizioso sous chef Sydney (Ayo Edebiri), che si è diplomato al Culinary Institute of America ed è la sola ad avere soggezione, anzi, la sola a capire il talento e la reputazione di Carmy come chef.
Avrete bisogno di farmaci anti-acido, forse di una dose di diazepam e sicuramente di qualsiasi farmaco per il cuore stiate assumendo per superare The Bear, soprattutto nei primi episodi. Il ritmo di una cucina tradizionale, dalle scadenze per la preparazione alle urla dell’ora di pranzo, e la necessità che ognuno conosca il proprio lavoro e si attenga strettamente alle proprie mansioni, sono catturati in modo estremo ed estenuante.
A questo si aggiunge il fatto che il sistema scelto per la squadra non è altro che una struttura traballante tenuta insieme da speranze e cerotti. Carmy e Sydney cercano di mettere ordine nel caos, ma è difficile farlo quando il caos non finisce mai. Richie si oppone al cambiamento, in parte per un’innata presunzione, ma anche per lealtà nei confronti di Michael, di cui soffre la perdita quasi quanto Carmy.
The Bear parla, tra le tante cose, dei rapporti familiari e di come il legame biologico possa rappresentare la parte minore.
Rappresenta anche uno studio di psicologia, l’immaginazione di Marcus viene catturata dalla prospettiva di miglioramento offerta dai nuovi metodi di Carmy, il sistema di brigate utilizzato nelle cucine di alto livello per farle funzionare in modo efficiente, le spiegazioni sul perché certi sapori e certe tecniche funzionano meglio di altri, l’imparare a gridare “Angolo!”, “Dietro!” e “Sì, chef!” in modo che tutti sappiano da che parte stare, sono tutti elementi che fanno intravedere un altro mondo che incuriosisce Marcus. Lui è a bordo, anche se non in modo diretto, perché niente e nessuno nell'”ammasso” di umanità che The Bear mescola sapientemente può essere lineare.
Tina – più anziana, più cinica, più pratica – ha bisogno di ulteriori conferme prima di abbassare la guardia. All’altro capo della bilancia, Sydney deve imparare che l’esperienza di vita e la prudenza, oltre all’ambizione e all’entusiasmo di cui è dotata, sono importanti.
Parte della genialità di questo show consiste proprio nel cercare di non far soffrire Carmy a causa del suo stesso genio, è tormentato dal suo dolore, certo, e – mentre scopriamo lentamente la storia sua e di Michael, che non viene completamente rivelata fino a un monologo di sette minuti di White nell’episodio finale – dal suo senso di colpa.
Ma il suo genio è una cosa imbrigliata e controllata, non lo usa per alimentare un ego mostruoso o per giustificare l’aggressività nei confronti dei sottoposti, o per fare altre cose narcisistiche che siamo abituati a pensare siano la naturale conseguenza di un talento smisurato. Quando perde il controllo, nel penultimo episodio, deve impegnarsi per risollevarsi.
The Bear non perde mai di vista l’impegno necessario non solo per guadagnarsi da vivere, ma anche per essere un essere umano funzionale e semi-decente.
The Bear sono 2 ore a 40 di genialità dinamica, pressante e propulsiva, con occasionali momenti di quiete che fanno capire quanto sia stato fatto per offrire qualcosa di tanto delizioso. Questo è uno show meticolosamente preparato, cotto a fuoco lento, ridotto, bilanciato e infine impiattato alla perfezione dal creatore Christopher Storer e dalla co-showrunner Joanna Calo. Entrate.
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