Di come Parasite sia un capolavoro del cinema moderno, destinato ad essere studiato negli anni a venire, ne hanno ormai parlato in molti.
Regia, fotografia e trama hanno fatto di questo film coreano un piccolo gioiello, ma ciò che stupisce davvero è la capacità di Parasite di raccontare con facilità la complicata società moderna.
La trama di Parasite è molto semplice: la famiglia Kim è povera e vive nei bassifondi di Seoul fino a quando, grazie ad un’opportunità del figlio Kim Ki-woo (Choi Woo-shik), riescono ad ingannare la ricca famiglia Park e ad introdursi come dipendenti. Tutto fila liscio fino a quando l’ex domestica Gook Moon-gwang (Lee Jung-eun), sostituita con l’inganno dalla madre Kim Chung-sook (Jang Hye-jin), svela che nel seminterrato vive recluso da anni il marito Geun-sae (Park Myung-hoon) e i due scoprono il loro inganno.
Una trama semplice, insomma, che però non impedisce alla pellicola di avere un senso profondo. Un tema prettamente sociale che racconta dei contrasti inerenti alla nostra società e che rappresenta al meglio la lotta sociale che questa costringe a combattere.
Una lotta sociale in cui le due famiglie povere sono costrette a vivere come parassiti, operando nell’ombra della ricca famiglia Park, “nutrendosi” dei loro scarti e della loro ricchezza. Una lotta in cui le due famiglie si combattono nonostante la loro condizione sia la stessa, lottando per una posizione in cui dovranno comunque sottostare alla famiglia più ricca.
Il film ci mostra però come i veri parassiti non siano la famiglia Kim bensì la ricca famiglia Park. Durante la pellicola, infatti, non riusciamo mai ad intuire da dove arrivi la ricchezza dei Park, e non vediamo mai nessuno di loro lavorare. Una ricchezza fittizia che la famiglia tiene tutta per sé sguazzando nell’abbondanza e non restituendo niente se non gli scarti.
Viene così rappresentata al meglio la lotta di classe che la società moderna, divisa in classi dettate dalla ricchezza, porta a combattere. Una lotta in cui chi sta in cima ottiene tutto e lascia solo le briciole a chi sta sotto costringendo questi alla lotta per la sopravvivenza.
Da una parte la famiglia Kim, povera tanto da lasciare aperte le finestre durante un’operazione di disinfestazione nei bassifondi di Seoul e che vive alla giornata. Dall’altra la famiglia Park, ricca e benestante che vive in una splendida casa nei quartieri bene della città e a cui non manca niente.
Nonostante queste differenze è la famiglia Kim quella unita tra le due ed è anche quella che, nonostante le difficoltà, risulta più felice. Dall’altra parte invece abbiamo la ricca famiglia Park, con una coppia unita più per denaro che per amore, quasi a dover preservare la loro posizione sociale. Una famiglia che dà un’immagine felice di sé più perché il loro ruolo sociale lo impone, mascherando con la loro ricchezza i difficili rapporti con i figli.
Vi è poi una terza famiglia, quella composta dalla domestica Moon-gwang e dal marito Geun-sae, costretto a vivere nel seminterrato per nascondersi dai creditori. Un’ulteriore stratificazione verso il basso per mostrare come la famiglia Kim, una volta ottenuta ricchezza, si abitui alle regole della società e guardi questi ultimi dall’alto verso il basso.
Ovvio poi l’uso di questa famiglia per il richiamo alla Corea del Nord, come dimostra la parodia della stessa domestica, sempre presente nel subconscio di ogni coreano. Un’allegoria sull’altra società coreana, di ciò che poteva essere se non si fosse abbandonata al sistema capitalistico, quasi un monito atto a far accettare il tutto.
Parasite è anche un film che vuole sfatare il mito della scala mobile sociale, e di come aumentando la ricchezza di chi sta in cima allora coloro che stanno nel basso ne riceveranno a loro volta.
Il primo tema è insito nella trama stessa, nel tentativo della famiglia Kim di integrarsi nella famiglia Park. Un tentativo che secondo Ki-woo lo porterebbe a sposare la giovane Park Da-hye (Jung Hyeon-jun) così da unire le due famiglie. Un’unione ovviamente impossibile dato l’inganno subito dai Park, i quali non accetterebbero mai degli impostori nella loro famiglia. Ciò rappresenta l’illusione di poter salire nella piramide sociale della società.
Una scalata resa impossibile nonostante le abilità della famiglia Kim. I figli dimostrano di avere ottime conoscenze in materia a ciò che insegnano ai ragazzi della famiglia Park, la madre è stata una campionessa olimpionica e il padre un ottimo guidatore. Nonostante queste abilità però non riescono ad emergere, non per loro sfortuna ma perché la società non glielo permette e li costringe così a mentire.
Il secondo tema è rappresentato allegoricamente dalla scena dell’alluvione, con la pioggia che trascina nei bassifondi i rifiuti dei quartieri alti di Seoul. Una pioggia che, invece di risultare purificatrice, porta distruzione nei quartieri bassi e porta a galla tutto ciò che è nascosto sotto la città. Non è un caso che questo sia il punto di svolta del film, dove tutte le bugie vengono fuori fino al climax finale.
Nella stessa scena vediamo i Kim passare da famiglia benestante, mentre si ospitano in casa dei Park e mangiano il loro cibo, alla loro condizione precedente quando questi rientrano a casa. I Kim devono così tornare a “nascondersi” nei bassifondi quasi come degli scarafaggi che si rintanano nei muri quando si accende la luce. Non è un caso che il padre, per scappare dalla casa senza farsi scoprire, ricordi proprio un insetto nel suo agire di nascosto per scappare dalla casa.
Dicevamo di come Parasite abbia una storia semplice ma stratificata nei suoi significati, una scrittura tale che ci permette di cogliere ad ogni visione nuovi dettagli. Possiamo scorgere così nuovi dettagli direttamente nei dialoghi e nelle parole dei personaggi portandoci a capire meglio il loro carattere e i loro pensieri.
Una storia che è sicuramente drammatica ma che riesce comunque ad essere comica, grazie ad un senso surreale della comicità. Parasite è in tutto e per tutto una black comedy, una tragedia dalle tinte grottesche che racconta della serietà della società sbeffeggiandola nei suoi difetti e nelle sue contraddizioni.
Ricorrente nel corso della pellicola è il tema dell’odore. Più volte i membri della famiglia Park parlano di come quelli della famiglia Kim abbiano lo stesso odore, che definiscono l’odore della povertà, e che rappresenta una barriera invisibile nel subconscio di questi.
Un odore che i Kim provano a togliersi di dosso per non far capire il loro inganno ma che non riescono a cancellare. Usato apparentemente per mostrare la differenza tra una famiglia pulita e una sporca, esso sottolinea quella barriera invisibile ed invalicabile tra le due famiglie. Una barriera fittizia creata dalla società stessa e da chi la compone, che non rende nessuno diverso dagli altri se non nella concezione delle persone stesse.
La pellicola si è aggiudicata la Palma d’oro nel 2019 e ben 6 oscar nell’edizione del 2020 tra cui miglior film, miglior regia e miglior montaggio. Premi tutti meritati quelli del film del 2019 diretto dal regista Bong Joon-Ho, già famoso per film come Memorie di un assassino e Snowpiercer.
La fotografia curata in ogni minimo dettaglio impreziosisce il film passando da una fotografia sporca quando la scena è situata nei bassifondi ad un’atmosfera patinata e asettica nelle scene della casa dei Park. La regia di Bong Joon-Ho scivola dolcemente durante tutta la pellicola, non risultando mai invadente e riuscendo a partecipare essa stessa al film.
La regia, infatti, riesce a dipingere un muro invisibile nei momenti in cui sia la famiglia Kim che la famiglia Park sono in scena, sottolineando quella barriera intangibile che le due famiglie non possono valicare. Solo in poche occasioni questa viene superata, ed è proprio nei momenti in cui uno dei personaggi travalica il suo ruolo provando ad affacciarsi sul mondo altrui ma fallendo nel suo tentativo.
Il finale racconta l’inevitabile, la lotta tra i tre capi famiglia appartenenti a tre strati sociali diversi per una situazione arrivata ormai al limite dove sopravvive il più forte. Un finale che apparentemente potrebbe sembrare di rivalsa sociale ma che invece racconta solo l’inevitabile implosione della società se i membri di questa non si aiutano a vicenda.
Vi è poi un altro finale, quello del figlio Kim Ki-woo, che progetta la sua ascesa nella società per riuscire così a salvare il padre Kim Ki-taek (Song Kang-Ho), ricercato dalla polizia e rintanatosi nello stesso seminterrato dove Geun-sae era nascosto. Un piano che però è destinato a fallire perché, come spiega il padre poco prima, la vita non può essere pianificata e perché, come ci insegna Parasite di Bong-Joon-Ho, la scala sociale è rotta e chi sta in basso può solo esserne schiacciato.
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