A neanche un anno di distanza dall’uscita in sala di “Un giorno di pioggia a New York” il regista newyorkese Woody Allen torna sul grande schermo con una sua classica commedia che vede protagonista un anziano uomo di nome Mort Rifkin, interpretato da Wallace Shawn, alle prese con le nevrosi e le insicurezze di un matrimonio in crisi.
Ma come in ogni suo film Allen devia dal genere trattando anche aspetti più profondi, come l’incessante avanzare degli anni e la paura di non aver vissuto la vita in modo appagante.
Mort e Sue (interpretata da Gina Gershon), marito e moglie da lunga data, si recano in Spagna, dagli Stati Uniti, per la mostra del cinema di San Sebastian. La moglie è addetta stampa di un giovane regista, Philippe (Louis Garrel), e questo è motivo di gelosie e paranoie da parte di Mort che crede che il rapporto tra sua moglie e il suo cliente possa andare oltre quello lavorativo.
Mentre Sue è impegnata tutto il giorno con le varie interviste, Mort inizia a vagare per la cittadina di San Sebastian con la scusa di trovare una cardiologa per i suoi, presunti, problemi di cuore. Qui conoscerà la dottoressa Jo Rojas (Interpretata da una ottima Elena Anaya) con la quale stringerà un particolare legame e diventerà sua compagna nelle sue gite giornaliere per la città.
Il vero festival cinematografico si svolge però nella testa del protagonista, il quale durante tutta la pellicola sogna ad occhi aperti, e chiusi, di trovarsi sempre protagonista di vecchi film da lui amati. Film amati anche da Allen stesso, che li mette in scena e ricostruisce nella sua pellicola con grande cura, imitando perfettamente gli originali e trasportandoci in un mondo magico dove il cinema diventa elemento salvifico da una realtà non all’altezza.
Le immagini che ne nascono sono puro spettacolo per gli occhi (grazie anche all’ormai fedele direttore della fotografia Storaro): Rifkin’s festival è un viaggio nella storia del cinema. Durante lo svolgersi della pellicola vediamo, infatti, riferimenti e intere scene ricalcate al millesimo, tratte dai film dei più famosi registi della storia del cinema quali Bergman, Godard, Fellini, ma epurate dal rigido citazionismo didascalico; la migliore fra queste è senza dubbio è la riproduzione della scena tratta da “Il settimo sigillo” di Bergman, dove troviamo un sorprendente cameo di Christoph Waltz nei panni della morte.
In piena poetica Alleniana, i protagonisti dei film di Allen rappresentano Allen stesso, siano questi anagraficamente lontani (come “Un giorno di pioggia a New York” ) o vicini, e in questo caso Mort Rifkin è perfetto nel ruolo di un insegnante di cinema paranoico e pessimista che sta cercando di scrivere un libro che possa essere all’altezza di Dostoevskij, e non come lui stesso afferma: “qualcosa di mediocre, come la maggior parte di tutti questi nuovi romanzi”.
Rifikin’s festival”è una lettera d’amore di Woody Allen per se stesso e per il cinema che ama; una riflessione intelligente sulla vita che passa, sulla morte e sulla fuga, che non può far restare delusi gli amanti del regista newyorkese. Una commedia che tiene sempre il pubblico in bilico tra leggerezza e profondità, riassumibile nella frase che Mort dice al primo incontro con la Cardiologa Jo Rojas:
“Ogni volta che vado dal dottore spero mi dica qualcosa del tipo -le manca un mese di vita- e con la fortuna che ho quel mese è febbraio”.
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