“Wanna”: il racconto di un fenomeno televisivo e sociale che conquistò l’Italia. Recensione
È approdata su Netflix Wanna, la docu-serie che ripercorre la vita, l’ascesa e la caduta di Wanna Marchi, la “teleinbonitrice” che tra gli anni Ottanta e Novanta ha conquistato l’Italia con la sua personalità brutale prima che con i suoi prodotti.
Il documentario, prodotto da Fremantle con la scrittura di Garramone e Bandiera e la regia di Nicola Prosatore, è disponibile su Netflix dal 21 settembre. Nel corso di quattro episodi viene aperta una finestra su di un’Italia fatta di cittadini e cittadine insoddisfatti di sé stessi, di personaggi televisivi e di strani rapporti di fiducia.
La serie è condita da ben 22 testimonianze (fra cui quelle di Wanna Marchi, Stefania Nobile ed il maestro di vita Do Nascimento) e immagini d’archivio, e impreziosita da una cura tecnico-artistica lodevole, che ne rende la visione piacevole e coinvolgente.
La regina delle televendite
Il documentario percorre una parabola che parte con un simpatico siparietto in cui viene chiesto a Wanna di improvvisare la vendita di una penna, per poi sprofondare senza singhiozzi in quell’abisso di truffe, odio e violenza che le Marchi (madre e figlia) hanno diffuso attorno a loro. Contrariamente al loro successo, il tragitto della morale è discendente ed è proprio su questo che la lente d’ingrandimento si sofferma.
La serie ripercorre la vita di Wanna dall’infanzia ai primi lavori nel campo dell’estetica, arrivando velocemente al suo approdo al mondo della TV con la trasmissione Gran Bazar; per Wanna cambia tutto, e in pochi anni è ospitata in televisione e radio, incide una canzone e appare sul grande schermo. Le testimonianze di altri celebri televenditori di quegli anni, come Roberto Da Crema o Joe Denti, sottolineano quanto la Marchi avesse in breve tempo rivoluzionato il modo di fare televendita: uno stile diretto, schietto, che sarebbe diventato con gli anni sempre più aggressivo.
La Marchi diventa prima il punto di riferimento delle casalinghe fuori forma che vogliono riconquistare i mariti (questo secondo la visione di Wanna): creme, alghe e unguenti sono le armi per la sua “guerra al lardo”. In un decennio, gli anni Ottanta, in cui il bodyshaming è ancora oltre l’orizzonte, i toni della Marchi cominciano ad inasprirsi. Dopo la bancarotta del 1990 ed il carcere, Wanna risorge e raggiunge vette molto più alte di qualunque successo raggiunto fino ad allora grazie ad un nuovo “prodotto”: non più creme, ma la fortuna.
Grazie alla collaborazione con il mago Do Nascimento, in grado di prevedere numeri del lotto, scacciare il malocchio e creare talismani portafortuna per i telespettatori, il trio arriva a creare utili che sfiorano i 63 miliardi di lire (più di 30 milioni di euro) in 5 anni.
Questa avida volontà di “volare fino al Sole” è ciò che la distruggerà una seconda volta. L’inchiesta giornalistica di Striscia la notizia, accompagnata poi parallelamente da un’indagine della Guardia di Finanza, faranno luce sull’Ascié e su una realtà costituita da 300.000 clienti, truffe e violenza psicologica.
Diavoli: amici e nemici di Wanna Marchi
La serie parla anche di tutte quelle persone che negli anni hanno gravitato attorno al pianeta Marchi. Personaggi che hanno agito più o meno dietro le quinte, amici e nemici di Wanna e Stefania, ma tutti raccontati in maniera inquietante, o surreale, o sorprendente. Tutti, insomma, che condividevano il titolo del secondo episodio: “diavoli”. Queste persone si legano ai momenti della carriera e vita di Wanna più ambigui: l’incendio del locale, il primo arresto per bancarotta fraudolenta, l’esplosiva rinascita.
Come ad esempio Milva Magliano. Quando nel 1986 il negozio di cosmetici della Marchi ad Ozzano dell’Emilia viene dato alle fiamme, Wanna si rivolge alla Magliano, sua cliente ed ex condannata per favoreggiamento personale ad un latitante (Il figlio di Raffaele Cutolo, ex capo della Nuova Camorra Organizzata). Milva racconta che “[Wanna Marchi] si rivolge a me perché sa che certe persone non mi diranno mai di no e comunque non si metterebbero contro di me a prescindere”. Lei concede alla Marchi un prestito per 315 milioni di lire, confermato tramite un documento presente negli atti giudiziari, ma sia la Marchi stessa che Stefania negano ogni cosa.
O come il “marchese” Attilio Capra de Carré, un altro personaggio misterioso, tutt’oggi scomparso dai radar pubblici e che ai tempi risultava membro della loggia massonica P2 e vantava amicizie potenti nella politica e nella televisione. Capra si collega a Dell’Utri, a Berlusconi e alle alte sfere del mondo pubblicitario.
Capra, Marchi e Nobile collaborano per il ritorno del duo madre-figlia in televisione, accostandole però un brasiliano, Mario Pacheco Do Nascimento, allora cameriere del marchese.
“De Carré disse, ‘ma perché non lo porti in televisione? Lui è bravissimo, indovina le cose, è molto bravo”. Questo è il racconto di Wanna circa il coinvolgimento di Do Nascimento, che aveva incontrato per la prima volta durante una cena a Milano con Capra. “Fu un boom”. Do Nascimento divenne il maestro di vita al quale i clienti facevano affidamento per ottenere un buono oroscopo, vincere al Lotto o generalmente scacciare la malasorte dalla propria vita. “Vendeva anche la fortuna, quindi il nulla”, commenta il suo ex avvocato difensore, riferendosi a Wanna Marchi.
Cattive: Wanna e Stefania Marchi
Una domanda che molti si sono posti riguardo la docu-serie è quella relativa all’approccio che gli scrittori avrebbero adottato nei confronti di due personaggi così negativi. Wanna e Stefania sono due condannate per associazione a delinquere finalizzata alla truffa, che hanno portato persone e famiglie sul lastrico sia economicamente, ma anche psicologicamente. Come raccontarle, mantenendo le distanze da una prospettiva apologetica, o addirittura glorificatrice?
La risposta costituisce forse il più grande pregio della serie. Non vi è traccia di apologia o di romanticizzazione della vicenda. Ve n’è spazio solo nei primi minuti: le origini povere di Wanna, i primi lavori, il matrimonio fallimentare e la sua volontà di prendersi cura dei figli. Dopo, la discesa è lenta ma inesorabile, fino ad arrivare a toccare il punto cruciale, ciò che ha dato origine a tutta la vicenda. La mente di Wanna, i suoi ragionamenti, il suo credo: “I co**ioni vanno in*ulati, ca**o!”, grida Wanna durante l’intervista.
Wanna Marchi e Stefania Nobile non si reputano colpevoli e non mostrano alcun segno di rimorso perché dentro di loro credono di non essere nel torto. Chiede Stefania all’intervistatore: “Se uno ti vende un attrezzo e ti dice che ‘Se ti attacchi per i piedi a testa in giù io ti faccio crescere cinque centimetri di altezza’, e tu ti attacchi a testa in giù, è un truffatore lui o sei un co**ione tu?”.
Stefania diventa quindi non più la figlia di Wanna, non la sua ombra o il suo braccio destro, bensì un suo prolungamento. Sono persone diverse, ma legate da un rapporto simbiotico che va ben oltre quello genitoriale, in cui una ferita ad una è una ferita all’altra. Questa loro caratteristica è la risposta a tutte le domande del pubblico.
Come hanno fatto ad ingannare migliaia di persone vendendo aria fritta? Dove hanno trovato la volontà di continuare, di non fermarsi mai, anche di fronte a fallimenti, accuse e condanne definitive? Cosa ha reso possibile lo svilupparsi di questa strana storia, i cui echi risuonano evidentemente ancora oggi? È solo nel rapporto patologico tra le due donne che si può trovare la chiave di lettura per comprendere appieno il fenomeno decennale che ha stregato l’Italia e che risponde al nome di Wanna.