Pinocchio di Zemekis: un bambino vero in una realtà di finzione. Recensione
“C’era una volta un pezzo di legno”. L’iconico romanzo di Carlo Collodi torna ancora una volta sul grande schermo con il remake del film Disney del 1940: “Pinocchio”.
Così, a distanza di decenni, ci ritroviamo trasportati nelle stesse atmosfere, affascinati dalle stesse musiche e investiti dalle stesse sensazioni provate da bambini, davanti a quel burattino con il cappello giallo e la piuma. La regia di un colosso del cinema di animazione come Zemeckis salta all’occhio come il legno di pino con cui Geppetto realizza il suo Pinocchio.
“Si vede a colpo d’occhio che sei di legno di pino… Pino-occhio…Pinocchio!”, esclama un sempre impeccabile Tom Hanks che, anche nei panni di Geppetto, lascia senza parole e ci costringe a immergerci nell’immensa tenerezza che traspare dalla sua perfetta interpretazione di un uomo dall’animo buono.
A raccontarci la storia, ambientata genericamente “tanto tempo fa, in un paese lontano lontano” è il grillo parlante, interpretato da Joseph Gordon, la coscienza di Pinocchio, che ci accompagna sino dentro la casa di Geppetto. Appare subito evidente una differenza sostanziale con l’originale Disney: il falegname ha perso la moglie e il figlioletto, dettaglio che non appare neppure nella storia di Collodi.
Sembra dunque una licenza poetica del regista che ha voluto in tal modo approfondire lo spessore psicologico di un personaggio che negli altri casi si limitava a semplice figura paterna, mentre qui si fa ricca di un triste passato.
Così, Geppetto sogna disperatamente di riavere il suo bambino, chiedendo alla stella dei desideri di farlo ritornare. Restiamo abbagliati da una brillante ed esplosiva Cynthia Erivo, nei panni della fata turchina che anima, allo stesso tempo, la scena e il burattino costruito da Geppetto, invitandolo a comportarsi bene e a scegliere la via giusta, perché solo in tal modo si trasformerà in un bambino vero.
Da qui parte il “percorso di formazione” in cui Pinocchio, (Benjamin Evan Ainsworth) sarà, sottoposto a una serie di prove necessarie a realizzare a pieno la sua maturazione, che qui corrisponde alla trasformazione in un vero bambino. Il ragazzino di legno che nel cartone Disney appariva totalmente privo di coscienza, almeno per buona parte del film, qui, sotto alcuni aspetti, pare conoscere il buon senso sin dall’inizio, anche senza aiuto del grillo parlante.
Pinocchio sembra quasi trascinato/costretto a compiere le sue “azioni cattive” dai vari personaggi che incontra e che fanno parte di una società che sembra rifiutarlo, come il maestro che lo butta fuori dall’aula etichettandolo come “diverso”.
Sconfitto dalla realtà circostante, allettato dalla possibilità di diventare famoso, Pinocchio si ritrova a riporre la sua fiducia in due malfattori, il Gatto e la Volpe (Keegan-Michael Key), che lo spingono nelle grinfie del cattivo Mangiafuoco (Giuseppe Battiston); e lì, tra i suoi burattini, si illuderà di sentirsi accettato.
Tuttavia, a questo punto della storia emerge un dettaglio in più, anche se poco chiaro, rispetto al film originale, che vede entrare in scena un personaggio nuovo: una bambina con la gamba di legno, Fabiana, interpretata da Kyanne Lamaya, la cui la storia è accennata ma non approfondita.
Si percepisce la triste condizione di povertà in cui la bambina vive e per cui è costretta a lavorare per Mangiafuoco, con la sua marionetta ballerina Sabina, che la bambina usa per rivolgersi a Pinocchio con più confidenza. Tuttavia, la sua speranza di fuggire e dar vita a un proprio spettacolo di burattini, potrebbe giustificare l’inserimento dell’episodio per amplificare il significato intrinseco del film: la realizzazione dei propri desideri.
Una volta scappato dalle grinfie del burattinaio, Pinocchio si ritrova sul carro diretto al Paese dei balocchi, insieme all’amico Lucignolo (Lewin Lloyd). Dopo essere stato convinto a raggiungere il luogo della perdizione per eccellenza, nel Paese dei balocchi Pinocchio pare tutt’altro che felice.
Si guarda intorno atterrito dal disordine e dalla mancanza di regole che rende gli umani simili alle bestie, quasi come un biondo Ralph nell’isola de Il Signore delle Mosche, che verso la fine del romanzo si trova a contemplare una realtà fatta di bambini, senza regole e senza freni, cui sfuggono i principi fondamentali di convivenza che la società, da sempre, impone all’uomo.
La sua coscienza lo riporterà alla luce solo dopo aver toccato il fondo, dopo essersi, cioè, quasi trasformato in un asinello nella sala da biliardo, dove beveva birra insieme a Lucignolo: con le orecchie e la coda da asinello riesce a scappare dal Paese dei Balocchi, per finire poi, in mare dove si ricongiunge finalmente con Geppetto.
Dopo essere inghiottiti dalla balena (rivisitazione Disney del romanzo in cui si tratta di un pescecane) qui mostro marino a tutti gli effetti, riescono finalmente a raggiungere la riva e Pinocchio forse a trasformarsi in un bambino vero.
L’intento del regista di portare qualcosa di “originale”, condotto in modo banale e solo per poche occasioni visibili nel film, è forse più evidente nel tentativo finale di lasciare lo spettatore nell’ignoto: non ci viene svelato se il protagonista diventa un bambino vero oppure no, come se il regista volesse suggerire un messaggio più importante.
Ecco il vero “disinteresse” di Pinocchio nel compiere buone azioni, che ha capito cosa significa fare del bene a prescindere dal proprio tornaconto, lasciandolo intendere anche a chi guarda, a cui non importa se alla fine Pinocchio è rimasto di legno.
Zemeckis ci regala un percorso di crescita, sotto forma di denuncia sociale, in cui un ragazzino emarginato e “diverso” riesce a contare sulle proprie forze e sulla propria bontà d’animo, e ci insegna a non smettere di sperare in qualcosa di buono, come Geppetto che guarda la stella dicendo: “ed il sogno tuo sincer esaudirà”.