Ragazze Vincenti: la serie Tv sul potere dei personaggi femminili. Recensione
Mettete da parte tutto ciò che sapete su “Ragazze Vincenti”. La nuova serie targata Amazon Video, che ha debuttato lo scorso 12 agosto, non è un remake del cult del 1992, ma una storia a sé, una storia tutta nuova.
La fonte di ispirazione è la stessa: la formazione della All-American Girls Professional Baseball League, il campionato femminile di baseball fondato nel 1943 per sopperire alla mancanza di uomini, mandati al fronte per combattere nella Seconda Guerra Mondiale.
D’altronde, il film non aveva bisogno di una rivisitazione, come ha affermato Abbi Jacobson, creatrice della serie insieme a Will Graham e interprete di una delle protagoniste, Carson Shaw. E proprio da Carson, la casalinga con il marito al fronte che nel baseball trova una via d’uscita (e non solo), inizia la storia.
Ma presto l’obiettivo si allarga per dispiegare una moltitudine di personaggi femminili propriamente definibili a tutto tondo, il vero punto di forza della serie. A partire da Max (Chanté Adams), protagonista di una propria storyline che, è facile intuire, si andrà a intrecciare presto con quella delle Rockford Peaches, la squadra di baseball (realmente esistita) protagonista.
Max è forse il personaggio più riuscito: giovane donna afroamericana dal lancio potente che viene scartata dalle squadre di baseball proprio perché donna e afroamericana. Max è schiacciata dalla pressione di essere “normale”.
La madre (Saidah Arrika Ekulona) la prega di prendere più sul serio il lavoro al salone di bellezza di sua proprietà e che tanto ha faticato ad aprire; la migliore amica Clance (una fantastica Gbemisola Ikumelo) sogna per lei un matrimonio con un bravo ragazzo. Max, invece, vuole solo giocare a baseball, e tutto ciò che fa è in funzione di questo. “Perché il Signore mi ha dato questo dono se non può essere la mia strada?” chiede Max alla madre, mostrando tutta la frustrazione di chi si sente nato con un destino.
Uno dei temi centrali è la questione dell’identità e dunque, in questo contesto, della definizione di “donna”. Siamo negli anni ’40: l’archetipo della donna è la casalinga che aspetta fiduciosa il marito arruolato, e proprio in questa categoria si colloca Carson.
Solo che Carson non rimane ad aspettare, ma grazie al baseball si prende una libertà che il matrimonio, in quell’epoca, non può darle. In questa categoria si colloca anche Clance, che invece trova nel matrimonio la propria dimensione, ma non permette che il ruolo di moglie sia l’unico a definirla (la sua passione per il disegno e i fumetti la dice lunga in proposito).
Il personaggio che verosimilmente incarna di più la femminilità canonica dell’epoca è quello di Greta (D’Arcy Carden, la Janet di “The Good Place“). Greta è sensuale e civettuola; è sicura di sé quando viene detto alle giocatrici di essere più “femminili”. Ma, in un contesto bigotto come quello americano, anche la troppa femminilità è da condannare, e a Greta viene chiesto di essere più discreta.
(*Attenzione spoiler*) Un magnifico quanto sottile parallelismo è quello tra la madre di Max e lo zio transgender: la prima ha approfittato del nome maschile (Toni) per avviare l’attività lavorativa, e nel frattempo tagliava i ponti con la sorella che iniziava a identificarsi come uomo.
Ogni personaggio è talmente ben delineato che proprio per questo (e non a dispetto di questo) tutte le singole trame si incastrano tra loro come meccanismi perfetti. Nelle storie che trattano di sport, di solito, il singolo deve imparare a mettere da parte l’ego e a lavorare con la squadra; qui viene mostrato come il gruppo (non solo quello sportivo), fungendo da rifugio e da rete di sicurezza, permette ai singoli di esplorare la propria identità e crescere come individui.
Amazon Prime non ha ancora confermato il rinnovo della serie, ma i due autori hanno dichiarato di star lavorando a una seconda stagione, e il cliffhanger finale lascia ben sperare.
Se anche il prodotto non può essere definito innovativo, va comunque sottolineata la sua unicità nel panorama attuale. E man mano che si procede nella visione si arriva alla realizzazione che l’effetto creato dalla serie è lo stesso che deve aver suscitato, a suo tempo, la vicenda trattata: in apparenza una squadra tutta al femminile che intrattiene il pubblico; in sostanza una moltitudine di storie vere di donne vere che nel baseball vedono una passione, una salvezza, una vita.