Avendo immediatamente scalato le classifiche fino ad arrivare alla top 10 di Netflix in numerosi paesi del mondo, disponibile su Netflix dallo scorso Giugno, la miniserie rivelazione Avvocata Woo realisticamente interpretata da Park Eun-bin, è stata travolgente a tal punto da farci credere che sia la miniserie coreana dell’anno e uno dei migliori k-drama dell’ultimo decennio.
Tecnicamente parlando, una pecca è riscontrabile nella mancanza, per ora, di doppiaggi italiani (può essere riprodotta nella lingua madre, in spagnolo o portoghese) senza nemmeno un audio in inglese come scialuppa di salvataggio, più o meno come è successo con l’altra molto ben nota serie tv coreana (Squid Game) lo scorso settembre.
Ma sorvolando tutto ciò, sveliamo i dettagli di uno show che a prima vista può apparire l’ennesima e scontata serie che ruota attorno al mondo legale, ma che ha al suo interno racconta un intero mondo inaspettato e da scoprire.
Diretta da Yoo In-shik, la storia si sviluppa secondo la vorticosa vita del personaggio di Woo Young-woo, descrivendo in ogni minimo dettaglio la quotidianità di un’avvocata geniale laureata ad honorem con disturbo dello spettro autistico, fornendoci una cornice che affronta un argomento così delicato in maniera speciale ed unica, riscontrando nell’opinione di molti spettatori che non si tratti semplicemente di una bella serie, ma “molto di più”.
“Non mi vedo come un normale avvocato” dichiara Woo Young-woo, la giovane avvocata più brillante di Seoul con un QI di 146 punti che si è appena laureata con lode alla più alta università della Corea, nel primo episodio della serie.
Stordita e maleducata da bambina, dopo cinque anni di preoccupazione e silenzio assoluto, iniziò a parlare recitando tutto il codice penale per il quale poteva vedere gli ingredienti e procurarsi vestiti senza etichette (le davano fastidio) poiché, come ci tiene a precisare nella seconda pagina (terza riga) del suo curriculum, è autistica.
Cammina come se stesse ballando goffamente sulle uova, vive nella paura costante di imbattersi in una porta girevole, ama i palindromi (come il suo nome) e soprattutto le balene, delle quali potrebbe parlare per ore. Lo fa, ma Woo non è “buffa”.
Non incarna il cliché (in cui molti critici hanno accusato la miniserie di essere inciampata) del disabile supereroe e non è mai banale. Affronta al contempo sfumature di quotidianità e temi duri con così tanta profondità e grazia, senza mai dare per scontato o svilire (cadendo in stereotipi) situazioni che esistono nella quotidianità di molte persone, riscontrando al di là di ogni aspettativa commenti entusiasmati da parte di professionisti, familiari e persone che convivono quotidianamente con lo spettro autistico.
Ognuno dei 16 episodi, in realtà piccoli film della durata di circa un’ora, ci porta all’interno di un caso diverso sul quale Woo e il team legale con cui lavora sono invitati a discutere in tribunale, cercando di convincere un giudice e una giuria; uno dei punti di forza della serie è l’amore per i dettagli della sceneggiatura di ogni episodio ben visibili poiché i clienti, protagonisti di drammi e storie bizzarre, subiscono condanne che possono portarli al carcere o ad un risarcimento milionario.
Se l’attuale avvocato mainstream è Jennifer Walters (la She-Hulk dell’omonima serie Marvel su Disney Plus), dobbiamo essere ben consapevoli che qui ci troviamo in un mondo completamente diverso.
Woo lavora, rifugge da ogni possibile interesse emotivo e non riconosce le emozioni umane, per le quali cerca di trovare le giuste parole riguardo sentimenti che non riesce a decifrare. Alterna momenti di alienazione a geniali intuizioni che inevitabilmente ribaltano l’episodio e portano Woo, grazie a un’eccellente memoria e al suo singolare processo di pensiero creativo (che mai la portano però al riparo da difficoltà, pregiudizi e dal disprezzo di molti) ad ottenere infine l’approvazione ed il rispetto dei suoi colleghi.
L’autismo della protagonista condiziona la sua quotidianità, regalandole sprazzi di genio, ma anche scagliando su di lei una serie di problemi pratici che un semplice sipario “comico” non riesce a risolvere. Tutto ciò che però distingue questa miniserie riguardante una tematica così delicata è il farne non un ostacolo in sé, ma una risorsa, una lente privilegiata attraverso la quale vedere il mondo a modo proprio, con conclusioni a volte distorte ma brillanti e mai banali.
Woo è la società coreana, nella sua grande forza e nelle sue mille contraddizioni dipinta con poesia, attenzione, grazia e sconvolgente potenza.
La Corea, con questo, si riconferma senza dubbio saldamente sul trono dell’intrattenimento, seriale ma non solo, a livello mondiale. Ed è del tutto meritato.
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