Love in the Villa è l’ultima delle commedie romantiche targate Netflix. Una pellicola ambientata in Italia, nella romantica Verona, con protagonisti Tom Hopper (Luther di The Umbrella Academy) e Kat Graham (Bonnie in The Vampire Diaries). Un film di cui, bisogna ammetterlo, non avevamo proprio bisogno.
Julie è una maestra delle elementari che sogna da sempre di andare a Verona: Romeo e Giulietta è la sua storia d’amore preferita (davvero originale). Finalmente è riuscita a organizzare un viaggio nella città dell’amore insieme al suo ragazzo, il quale però la lascia pochi giorni prima della partenza. Così, supportata dal suo collega e migliore amico, che ricalca perfettamente gli stereotipi di un uomo omosessuale in maniera anche piuttosto offensiva, decide di partire lo stesso, perché “l’amore trova sempre una via“.
Giunta alla villa del suo soggiorno, in realtà un appartamento proprio di fronte al balcone di Giulietta, la donna scopre che dentro c’è già un inquilino: si chiama Charlie e si trova lì per il Vinitaly. Charlie è il classico tipo muscoloso, prepotente, strafottente e chi più ne ha più ne metta, almeno all’apparenza. I due scoprono che, per un errore dell’affittuario (Emilio Solfrizzi, l’unica cosa buona del film), hanno prenotato la villa per la stessa settimana.
Julie e Charlie iniziano così a litigare e cominciano una guerra di sfinimento, con l’obiettivo di cacciare l’altro e tenersi la villa tutta per sé. I due si trovano in situazioni assurde, d’altronde assurde sono le premesse: se la colpa è di chi ha affittato la villa, perché dovrebbero prendersela solo tra di loro e rendersi la vita impossibile, rovinandosi vacanze e lavoro? Perché Julie dovrebbe perdere tempo e far saltare tutte le visite che aveva in programma per realizzare il suo sogno?
Semplice: perché altrimenti il film non avrebbe senso di esistere. Ma sorvoliamo su questo dettaglio, che è in realtà il cuore di una classica storia Enemies to lovers, e proseguiamo per capire cosa non ha funzionato nel film.
Essendo una commedia romantica si può passare sopra al fatto che il finale è ovvio fin dall’inizio: non stiamo guardando un film con troppe pretese, ed è giusto così. C’è però un limite agli stereotipi con cui si può farcire una pellicola del genere; limite ampiamente superato da Netflix, che ha infarcito Love in the Villa – Innamorarsi a Verona fino all’inverosimile.
Di luoghi comuni ce ne sono davvero troppi, a partire dal migliore amico della protagonista, passando per il modo in cui viene dipinta l’Italia (e no, non si tratta di essere permalosi: siamo davvero all’assurdo) e arrivando infine ai protagonisti e ai rispettivi (ex) fidanzati. Ruoli e personalità visti e rivisti: non c’è stato il minimo sforzo di creare qualcosa di nuovo.
I dialoghi sono prevedibili, banali e a tratti imbarazzanti, conditi da cliché fastidiosi che rendono faticoso proseguire con la visione. Empatizzare con i personaggi è difficile: non hanno abbastanza profondità per sentirli vicini. Tra tutti è forse Charlie quello più “umano”, che fatica a far trapelare le emozioni e si nasconde dietro una facciata da duro (anche questa non ci sembra nuova).
I rispettivi ex fidanzati sono quanto di più stupido si potesse partorire, privi di qualsiasi guizzo, condannati nel loro ruolo da macchiette che provano a suscitare una risata, ma non ci riescono.
Purtroppo non basta Verona e la storia immortale di Romeo e Giulietta a salvare il film. Il racconto di Shakespeare è soltanto una scusa per portare sullo schermo una storia insapore che si fa presto a dimenticare. Peccato che per Tom Hopper e Kat Graham, che avrebbero potuto dare molto di più.
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