Cinema

Un viaggio infinito oltre lo spazio e il tempo: Lightyear – La vera storia di Buzz. Recensione

«Verso l’infinito e oltre». Ci sono alcune frasi che fanno parte dell’immaginario collettivo: entrano nella vita delle persone e si trasmettono di generazione in generazione come una sorta di proverbio, un detto popolare che condensa un insegnamento tratto dall’esperienza.

Nel caso specifico, però, stiamo parlando della citazione tratta da Toy Story, cartone animato della Disney Pixar uscito nelle sale cinematografiche ormai 27 anni fa. Da allora e per quasi un trentennio la frase, con il suo simpatico e assurdo invito a spingersi oltre qualcosa che un oltre non ha, è diventata iconica. La stessa può quindi essere utilizzata benissimo anche per parlare del nuovo film Disney Pixar, spin-off del franchise di Toy Story uscito nelle sale italiane lo scorso 15 giugno, Lightyear – La vera storia di Buzz

La pellicola, ventiseiesimo lungometraggio prodotto dalla Pixar Animation Studios, è diretta e co-scritta da Angus MacLane sulla sceneggiatura di Jason Headley e dello stesso MacLane. Le colonne sonore sono firmate da Michael Giacchino; le voci del cast originale sono di Chris Evans (Buzz), Peter Sohn (Sox), Uso Aduba (Alisha Hawthorne) e James Brolin (Zurg); mentre le voci del cast italiano sono di Alberto Malanchino (Buzz), Ludovico Tersigni (Sox) e Esther Elisha (Alisha Hawthorne).

Lightyear: La vera storia di Buzz narra le origini del famoso personaggio della serie cinematografica, Buzz Lightyear che, fino ad oggi, il pubblico conosceva solo come giocattolo animato. 

Dopo la sigla della Disney Pixar lo schermo si oscura, la musica aumenta di intensità e lo spettatore si trova davanti a una cornice narrativa che condensa la spiegazione di quello che vedrà: «Nel 1995, un bambino di nome Andy ricevette un Buzz Lightyear giocattolo per il suo compleanno. / L’eroe del suo film preferito. / Il film è questo».

Lightyear si pone sin da subito come un’avventura fantascientifica che narra le vicissitudini del leggendario ranger terrestre al servizio del comando spaziale. La scena iniziale, collocata nell’anno cosmico 3901, mostra l’interno di un’avveniristica astronave sulla quale Buzz, con il suo equipaggio capitanato dal comandante Alisha Hawthorne, è alla ricerca di possibili forme di vita su pianeti sconosciuti.

Il protagonista, nel tentativo di sfuggire a un attacco alieno, danneggia l’astronave che rimane così bloccata su un pianeta ostile a 4,2 milioni di anni luce dalla Terra. Cercando di tornare a casa, Buzz effettua dei test di volo a ipervelocità che lo portano a viaggiare nel tempo: ogni missione di prova dura per lui 4-5 minuti, mentre in realtà, a causa della dilatazione temporale sul pianeta, gli altri invecchiano di 4 anni e la vita scorre inesorabilmente.

Ci vorranno ottantaquattro anni affinché  Buzz riesca a raggiungere l’ipervelocità, ma l’invasione del pianeta da parte di robot alieni guidati da Zurg e la disapprovazione del nuovo comandante, Carl Burnside, che ha sostituito l’anziana e defunta Alisha, ostacoleranno la sua missione. Buzz capirà che per risolvere la situazione ha bisogno dell’aiuto di qualcun altro; potrà infatti fare affidamento su un gruppo di reclute, tra cui la nipote di Alisha, e su Sox, un gatto robot regalatogli dalla stessa Alisha per agevolare la transizione emotiva dovuta alle lunghe assenze. 

Nell’intrecciarsi di futuro, passato e presenti alternativi, il film fa compiere allo spettatore un viaggio nello spazio, ma soprattutto un viaggio nel tempo. Nel tentativo messo in atto dal malvagio Zurg di far tornare «il futuro ad un passato glorioso, per far sì che il presente cessi di esistere», la dilatazione temporale dovuta ai viaggi ad alta velocità si rivela essere una distorsione sociale per lo stesso Buzz, che si renderà conto che gli errori del passato non si possono cancellare, ma servono per costruire un futuro migliore. 

Sin dalla cornice narrativa, con il riferimento cronologico al 1995, realtà e finzione si mescolano: se si ammette che Lightyear è il film preferito del protagonista umano di Toy Story, allora l’universo rappresentato nella serie cinematografica è reale, mentre l’universo che si dispiega nella pellicola che lo spettatore sta per vedere appartiene alla finzione cinematografica.

La cornice narrativa scompagina così l’ordine logico della realtà: ha una funzione esplicativa e allo stesso tempo si rivela un discorso metanarrativo sul merchandising stesso. La pellicola potrebbe essere registrata su una videocassetta di Andy; ma, siamo di nuovo nella sua cameretta del 1995 seduti accanto a lui a guardare il suo film preferito, oppure un Andy ormai adulto rivede un film della sua infanzia? Siamo anche noi nel passato oppure ci troviamo nel presente?

Al cuore della storia, però, non c’è solo la tematica del tempo: attorno a questo complesso concetto filosofico si snodano una riflessione sulla fallibilità umana e sulla necessità di accettare l’aiuto degli altri imparando dai propri errori e incorporandoli nel proprio percorso di apprendimento. È un film che invita a perseguire i propri obiettivi senza lasciarsi travolgere dalla bramosia di raggiungerli e a ricordare che il tempo della vita scorre molto più veloce rispetto a quello dei sogni e dei desideri.

Dubbi e sensi di colpa portano a riflettere sulle occasioni mancate. L’errore di Buzz, oltre alla responsabilità dello schianto dell’astronave, è quello di aver rifiutato di farsi aiutare durante la manovra e i viaggi che compie per rimediare a quell’errore lo fanno invecchiare a un ritmo diverso rispetto agli amici che vede sfiorire mentre colleziona fallimenti. Il film delinea così la figura del paladino di una moderna epica fantascientifica, nella quale prevalgono i valori umani dell’eroe che mette da parte se stesso per aiutare gli altri.

Nonostante gli interessanti spunti di riflessione, Lightyear si rivela un’avvincente avventura intergalattica dalla trama però spesso scontata, capace di appassionare di più i bambini, come appunto Andy. A differenza di altri film Disney, la pellicola sembra quasi accontentarsi di essere un mero intrattenimento per i più piccoli, puntando maggiormente sulla perfezione grafico-visiva dei disegni che sulle interconnessioni psicologiche che sarebbero potute scaturire dalla trama.

Ed è forse proprio nell’accuratezza grafica che il film concentra tutta la sua forza, rimandando a livello visivo e narrativo a modelli cinematografici iconici: dalle saghe di Star Wars e Guardiani della galassia, a Top Gun e Spider-man. Un nuovo universo.

I meravigliosi disegni non tradiscono la fiducia degli appassionati Disney, anzi sfiorano la perfezione facendo dimenticare allo spettatore di guardare un cartone animato e illudendolo di trovarsi di fronte a immagini reali e a persone in carne ed ossa. Ogni dettaglio è curato alla perfezione e la ricchezza di particolari rende l’universo rappresentato credibile e vissuto. 

La bravura dei produttori sta nel costruire un mondo che nessuno ha mai visto e che al tempo stesso sia coerente con i pochi riferimenti presenti in Toy Story. La loro sfida è stata quella di partire da un personaggio iconico come Buzz e creare attorno ad esso una storia plausibile.

In Toy Story la comicità nasce dal fatto che Buzz non capisce di essere solo un giocattolo ispirato al personaggio del grande schermo, ma è convinto di impersonarlo. In Lightyear, lo space ranger è più complesso e diverso: le caratteristiche del protagonista prendono spunto dal Buzz di Toy Story, ma nel passaggio da giocattolo a eroe umano il protagonista acquista una diversa dimensione emotiva.

Gli sceneggiatori hanno cercato un equilibrio tra le aspettative dei fan e la ricerca di qualcosa di nuovo, come appare evidente dai fotogrammi iniziali: in Toy Story nella scena in cui appare per la prima volta il ranger spaziale c’è un’inquadratura che parte dal basso per arrivare al volto; nel nuovo film c’è un’inquadratura simile per dare subito allo spettatore l’idea che di trovarsi davanti  il Buzz che conosce, ma che allo stesso tempo è diverso, con una sua storia e una sua crescita personale. 

I personaggi seguono le direttive dell’inclusività e del politically correct, con figure di diverse nazionalità e orientamenti sessuali, che ruotano attorno all’eroe maschile, qui sottoposto a una figura femminile di comandante. 

Al protagonista si contrappone il coprotagonista, il comandante Alisha Hawthorne, una leader dinamica e capace che cerca di salvare l’universo insieme a Buzz. Ciò che lei rappresenta è una vita vissuta appieno, una vita che Buzz, troppo impegnato a rimediare al suo errore, non ha mai avuto. Solo grazie all’aiuto della nipote di Alisha, Izzy, Buzz imparerà a superare le difficoltà ricordando di non essere solo. 

Ma torniamo al nostro incipit: possibile che una frase come “Verso l’infinito e oltre” riesca a condensare i temi trattati in questo nuovo film? La risposta è naturalmente affermativa, anche se in questa pellicola il noto ritornello si scontra e confronta con la limitatezza delle possibilità umane e con la finitezza della dimensione esistenziale.

Il protagonista con i suoi viaggi intergalattici riesce effettivamente a raggiungere l’infinito e ad andare oltre, nonostante il controsenso insito nella stessa frase, ma ciò che realmente raggiunge con questo viaggio di formazione è la comprensione della finitezza umana nell’infinitezza del cosmo.

All’universo infinito fa da contrappunto la finitudine del pianeta sul quale Buzz rimane bloccato, ma soprattutto ad esso si contrappone il tempo finito della vita. Buzz va oltre l’infinito per rendersi conto che la vita di ogni persona è, invece, finita e limitata; solo vivendola appieno, condividendola con altri esseri viventi e lasciandola in eredità ai posteri, si potranno rendere davvero infiniti la vita e l’amore. 

In questo tentativo di superare i propri limiti si deve fare sempre i conti con se stessi e con i propri errori, ricordandosi che ogni sbaglio può servire per andare avanti: non si può cancellare il proprio passato, perché come dirà un personaggio del film «non puoi nasconderti a te stesso, riuscirà sempre a trovarti».

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