Blonde, Marilyn Monroe è tornata. Ana de Armas la riporta in vita. Recensione
Blonde di Andrew Dominik, in concorso alla 79° Mostra del Cinema di Venezia è il film tratto dall’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates che racconta la vita di Marilyn Monroe ispirandosi ai fatti reali e romanzandone alcuni ma attenendosi a quelli che sono stati i temi ricorrenti della vita della diva hollywoodiana. Ana de Armas riporta in vita Marilyn tanto da sembrare proprio lei.
Blonde era tra i film più attesi per questa edizione della Mostra del Cinema di Venezia e, c’era da aspettarselo, i commenti in sala si sono spaccati a metà, del resto un film come questo divide inevitabilmente la critica.
La sinossi è perfino superfluo riportarla dal momento che si tratta della trasposizione cinematografica di alcuni cruciali momenti sia della vita privata che pubblica di Marilyn Monroe. Tutti, chi più chi meno conosciamo la sua storia, l’infanzia difficile e il drammatico epilogo, intorno al quale tanto si è dibattuto con le mille ipotesi sull’assassinio della diva senza tempo, Marilyn Monroe che sarebbe stata uccisa dai servizi segreti per volere dei Kennedy.
Ma al di là di queste cose che lasciano il tempo che trovano, questo film si sofferma sulla persona e solla diva insieme, come se fossero due persone diverse, perché in effetti lo erano, c’era Norma Jean Baker e c’era Marilyn Monroe e spesso quello che faceva la diva non piaceva alla persona. Perché la giovane donna che fu Norma Jean voleva una vita semplice, un padre e una madre e magari sposarsi e fare dei figli, viveva per la famiglia ma le pressioni di Hollywood e le ombre del suo passato la rovinarono.
Proprio la famiglia, questa grande assente nella vita di Norma punteggia il suo percorso di vita, in particolare l’assenza della figura paterna condizionerà l’esistenza della donna che sarebbe diventata una delle leggende di Hollywood e come tale, destinata a rimanere eterna.
Chi scrive ha letto molto su Marilyn Monroe perché al centro dell’interesse c’è sempre stato il grande dolore che traspariva dagli occhi di quella donna bellissima e nessuno, neppure chi ci andava a letto e diceva di amarla aveva notato. Eppure era tutto in quegli occhi e in quel sorriso iconico ma nessuno lo aveva notato. Perché? Perché erano tutti stregati dall’attrice, dalla bellissima donna, dalla voce che cantava suadente e da quella macchina del sesso che faceva impazzire tutti dagli impiegati ai Presidenti.
Di lei Billy Wilder disse: “Come lei non ce ne sarà mai un’altra, e Dio sa quante imitatrici ha avuto”, con lui Marilyn lavorò in due dei film più iconici e belli di Hollywood: Quando la moglie è in vacanza (1954) e A qualcuno piace caldo (1959) e il regista ricordò in alcune interviste di quanto fu complicato lavorare con lei, soprattutto nell’ultimo film, arrivava sempre in ritardo o a volte non si presentava mai eppure, nell’istante in cui la macchina da presa partiva, iniziava la magia, Marilyn era magica.
Marilyn, la diva che aveva tutto ma non aveva un padre
L’assenza della figura paterna è il filo rosso che porta avanti questa storia, anche quando arriva all’apice del successo Marilyn Monroe sente continuamente la mancanza del padre, la mancanza di una famiglia propria e la mancanza di quella persona normale che fu Norma Jean che lei ha dovuto uccidere e occultare il cadavere per diventare la diva che è stata.
Ma Norma non è mai andata via davvero e come diceva il personaggio di Holly Golightly in un altro capolavoro del cinema, Colazione da Tiffany: “Il guaio è che sono ancora Lula Mae, solo che adesso lo chiamo avere le paturnie”. Quando la vera se stessa viene fuori ecco che i dolori mai risolti del passato si fanno strada, e se nel famoso film di Blake Edwards la morale finale è che non si può sfuggire a se stessi, ciò è ancora più vero nel caso di Marilyn Monroe. Quando Norma dentro di lei scalpitava o disapprovava Marilyn doveva farci i conti, “aveva le paturnie” appunto.
Il film racconta tutto questo e anche di più ed è interessante come alcuni eventi facciano da cardini nella storia della diva. La sua carriera inizia e finisce con il sesso a ben pensarci, inizia con un produttore che abusa di lei e al quale si sottomette per avere un contratto e finisce con una fellatio al Presidente Kennedy (prefinale questo che prelude alla vera fine, quella che conosciamo tutti).
Una cosa che Marilyn Monroe non ha mai nascosto è stata proprio questa, la maniera di ottenere ingaggi se eri bella oltre che talentuosa, perché erano davvero tanti i produttori che usavano il sesso come merce di scambio e altrettante le attrici che cedevano, ma poche lo hanno ammesso.
Altri due cardini della storia sono due presente fortissime, due fantasmi per così dire e quindi due forti assenze: il padre e il bambino. Norma – Marilyn riceve le lettere di suo padre che non l’ha mai riconosciuta e che le scrive lettere piene di affetto ma anche di giudizi, Norma praticamente vive per lui e lo cerca in tutti gli uomini che sposa senza mai trovarlo. Loro poi non la capiscono mai davvero e anche se dicono di amarla finiscono per abbandonarla.
Poi c’è il bambino, una figura fantasma che la accompagna sempre e che lei vorrebbe si facesse carne, anche se di fatto non lo avrà mai. Marilyn subisce tre aborti, il primo per scelta, preferisce la carriera, il secondo quello concepito con lo scrittore Arthur Miller lo perde spontaneamente, il terzo figlio della colpa, figlio del Presidente e lì viene costretta ad abortire.
Ebbene questo feto è metaforicamente sempre lo stesso ed è vivo dentro di lei perché rappresenta il suo senso di maternità. Noi lo vediamo perché la regia decide di portarci nell’utero della protagonista e di mostrarci il corpo di Marilyn tanto desiderato anche dal suo interno, dove si annidava tutto, dolori, emozioni e desideri.
Come ho già scritto questa non è una fiaba scintillante con un lieto fine, non è la Hollywood dei sogni ma è quella sordida e oscura, la macchina per fare soldi al centro di un incubo che si chiama Cinema. La fotografia del film si alterna fra bianco e nero e colore, per suddividere la vita privata dal Cinema.
Guardare questa carrellata di eventi sulla dolorosa storia di Norma e sull’icona Marilyn mi ha ricordato una scena di Quando la moglie è in vacanza con cui mi piace ricordare Marilyn Monroe. Si tratta della scena finale del film quando il protagonista corre dalla moglie in vacanza e lascia la sua vicina di casa nell’appartamento. Marilyn è affacciata alla finestra e sorride salutando lui che sta andando via.
L’immagine di lei alla finestra è una delle più famose, una delle tante usate e riusate più volte e mi sembra che la foto di lei che saluta dalla finestra possa essere in qualche modo simbolica. Un fermo imagine che la rende eterna, senza fine. Un saluto che mi sembra un preludio di un ineluttabile addio, quello che di lì a pochi anni ci sarebbe stato.
Cosa rimane, tra le pagine chiare e le pagine scure? Qualcosa, come intonava la canzone di De Gregori, tutto mi viene da aggiungere. Ana de Armas ha riportato in vita Marilyn e il suo dolore, parte della sua storia e il film si potrebbe dire affine a Spencer di Pablo Larraín, anche questo presentato in concorso, lo scorso anno, a Venezia.