L’immensità di Emanuele Crialese è uno dei gioielli di Venezia 79, il regista dirige la Coppa Volpi 2021, Penelope Cruz in un dramma familiare ambientato alla fine degli anni Settanta, in un’Italia che attraversava gli anni di piombo e con un’altra televisione, quella in cui Raffaella Carrà si scatenava a ritmo di Rumore.
Il film di Emanuele Crialese è emozione pura ed è anche intriso di nostalgia, è una favola amara che ci racconta chi eravamo e chi siamo oggi, attraverso la musica dell’epoca e i personaggi eccentrici racconta le ombre di un’epoca, gli anni Settanta, dura e oscura. Erano gli anni di piombo ma ne L’immensità non vi è traccia di terrorismo bensì di terrore, quella sinistra paura della protagonista nella gabbia in cui vive, il suo matrimonio infelice.
L’Italia in passato non era un Paese per donne e a giudicare da quanto vediamo oggi non lo è neppure nel 2022. Siamo a Roma Clara è una bellissima casalinga di origine spagnola, sposata con Felice Borghetti e vivono in pieno centro a Roma con i tre figli.
Sono una tipica famiglia borghese del tempo. Clara e Felice non stanno più bene insieme e si guardano a stento, anche se a letto il marito cerca di riscuotere in suoi diritti, non curandosi molto dei sentimenti della moglie né se sia felice o meno.
Dalla parte di Clara ci sono i bambini e quando i quattro sono da soli senza la figura del padre padrone, in casa è sempre un gioco, una festa, si cantano le canzoni del momento, Rumore e Prisencolin, sono due di queste. Clara si rifugia nel gioco, nel canto e nei sogni, vivendo la sua vita come fosse un varietà. Clara è una donna sui generis che non ha mai tirato uno schiaffo ai suoi figli e crede nella libertà d’espressione. Il suo essere eccentrica, quindi l’affermazione della sua personalità viene contrastata dal contesto borghese in cui vive, dalla suocera e dal marito stesso che cercano costantemente di opprimerla.
La storia di Clara non è la prima che sentiamo in un Paese che cercava di “mettere a posto” le sue donne, donne alle quali veniva chiesto di stare zitte e obbedire. L’immensità parla di questo, dell’affermazione della libertà e così come Clara cerca di spezzare le catene che la tengono legata a suo discapito, facendosi anche venire l’esaurimento nervoso, allo stesso modo sua figlia Adriana si ribella a una vita precostituita a cominciare dal suo sesso di nascita.
Adriana ha dodici anni e si fa chiamare Andrea perché lei sente di essere un maschio e non una femmina, ha scelto il suo nome e lotta per la sua indipendenza non facendo mai nulla di convenzionale. Insomma non si mette i vestitini e non sogna la vita verso la quale la società intrisa di patriarcato fino alla nausea cerca di avviarla. Adri/Andrea sente e vede ogni cosa, si accorge di tutti i problemi fra i suoi genitori e afferma continuamente la sua identità, con tutte le polemiche del caso, soprattutto da parte del padre.
Clara e Adriana si somigliano, si sentono costrette in una condizione che non gli piace e si esprimono secondo il proprio carattere, ma per assurdo che possa sembrare Clara è più fragile e toccherà proprio a Adri aiutare la madre.
Adriana è la quintessenza di quanto diceva Vittorio De Sica: “I bambini ci guardano” una frase che diede il titolo a un suo famoso e doloroso film che sintetizzava l’attenzione che i bambini hanno verso i genitori.
Adri osserva tutto e capisce tutto, rispetto ai fratelli minori è attenta a quello che succede dietro la porta chiusa e va sempre in difesa della madre, anche se in un momento molto drammatico le ricorderà di essere lei la bambina, che loro sono i grandi e che dovrebbero fare attenzione, insomma si dovrebbero occupare di loro ma non lo fanno fino in fondo.
L’immensità di Emanuele è tra i film più commoventi della Selezione Ufficiale di Venezia 79, al termine della visione ci lascia soddisfatti, dopo pianti e risate, per la catarsi raggiunta.
È come guardarsi allo specchio, vedere l’oppressione subita da due donne di età diversa, vedere i tentativi di affermarsi e di conquistare la libertà è come guardare le donne che siamo diventate oggi ed è inevitabile chiedersi: siamo davvero libere?
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