“Nope” è il terzo film del regista premio Oscar Jordan Peele. Il lungometraggio è un’interessante combinazione del genere horror e del sci-fi, un mix autoriale che dimostra, ancora una volta, lo sguardo originale del regista statunitense.
Nella storia della distribuzione cinematografica, i mesi estivi non sono mai stati quelli prediletti per far uscire un film di punta o addirittura un blockbuster. Di recente questa scelta di promozione è cambiata e a fare da apripista sono stati i prodotti Marvel.
“Nope” è il terzo lungometraggio del regista statunitense Jordan Peele, autore che dalla sua prima fatica, si è imposto come uno dei migliori e più innovativi della generazione moderna. “Nope” è stato distribuito l’11 di agosto mentre, appunto, la maggior parte della gente si dilettava tra un tuffo al mare ed un trekking in montagna. Nonostante il tempo sospeso dell’estate, quindi, il film di Peele è riuscito ad attirare l’attenzione del pubblico e della critica incuriositi nel conoscere l’originale spinta autoriale del regista.
Poco importa se un horror-sci fi come è “Nope” strida con ombrelloni ed infradito, se si ha l’occasione di guardare il nuovo film Peele, questa non deve essere persa. “Nope” è, di fatti, una sorta di esperienza visiva spettacolare che ammalia l’occhio con effetti cinematografici da blockbuster ed un sottotesto, quello più celato e latente, che arriva dritto alla mente degli spettatori. Quest’ultimi, d’altronde, se conoscono il lavoro del regista saranno sempre più ansiosi di scovare la sua mano invisibile che, in realtà, consegna loro sorprendenti input su cui riflettere.
Nel 1998, durante le registrazioni della sitcom “Gordy’s Home”, lo scimpanzé protagonista della serie impazzisce dopo essersi spaventato a causa dello scoppio di un palloncino. La scimmia inizia, così, ad attaccare violentemente alcuni degli attori ma risparmia “amichevolmente” il giovane ragazzo nascosto sotto ad un tavolo di scena prima di essere abbattuto dalle autorità.
La storia si sposta nel presente con i protagonisti effettivi della pellicola. Si tratta di una famiglia, gli Haywood, proprietari di un ranch che gestisce cavalli addestrandoli in funzione di produzioni cinematografiche. Dopo che il capofamiglia muore in circostanze sospette, OJ e sua sorella Em ereditano il lavoro del padre non senza fatica ma fronteggiando sempre più ingenti problemi economici.
Se OJ è un uomo pratico che pensa solo a come far quadrare i conti, sua sorella Em è la sognatrice della famiglia che, per fare pubblicità al ranch, sostiene che ci sia una parentela alla lontana tra loro e il primo nero mai inquadrato, ossia il fantino di Sallie Gardner at a Gallop di Eadweard Muybridge.
A seguito della reazione violenta di uno dei cavalli del ranch OJ ed Em vengono licenziati da un importante progetto con un regista e si vedono costretti a vendere parte dei loro cavali a Jupe, il bambino sopravvissuto alla strage della scimmia durante le registrazioni della sitcom.
Jupe possiede, infatti, un parco western che intrattiene i visitatori e vive ricordando, spesso, l’incredibile evento di cui è stato partecipe. Jupe si offre di comprare il ranch dei fratelli per cercare di far sopravvivere l’attività di famiglia ma OJ è riluttante a lasciare andare il frutto di così tanta fatica e lavoro da parte del compianto padre.
Le cose cambiano quando una notte Oj e sua sorella assistono ad un blackout inspiegabile che influisce sull’umore degli animali. Oj ed Em si accorgono ben presto di una presenza sconosciuta che aleggia sui cieli della zona del ranch, un’inquietante nuvola che attira verso sé qualsiasi cosa incontri inghiottendola violentemente.
I due ritengono che questa strana presenza, riconducibile ad una forma aliena, possa essere non solo filmata ma può essere fonte di arricchimento utile a salvare il ranch. Arruolano dapprima un esperto in installazione di telecamere che, attratto da eventi assurdi, si prodiga ad aiutarli per riprendere quell’entità dall’origine inspiegabile ed in seguito anche il famoso direttore della fotografia Holst.
Holst inizialmente riluttante comprende che ad Agua Dolce c’è qualcosa di incredibile e magico che necessita di essere filmato per rimanere impresso nella storia.
Come la gang verrà fuori da questa pericolosa situazione? La presenza aliena sembra una forza distruttrice e cattura, senza alun tipo di distinzione, tutto ciò che trova ma come Oj capirà, è soprattutto un animale e come tale può essere domato. L’uomo, con la sua apatica ironia, comprende più di tutti l’indole irrazionale della presenza e grazie alle sue conoscenze di addestratore e ad una calma innata guida i suoi amici verso un finale sorprendente.
“Nope” è un film che si nutre di spettacolo ed incredibili effetti visivi: per questo la sua visione non può che avvenire al cinema. Il terzo lavoro di Peele è pensato, come da lui stesso affermato, per essere vissuto nelle sale cinematografiche grazie a sequenze scenografiche create appositamente per il grande schermo. Il suo è un omaggio al cinema d’azione e a quello fantascientifico mentre crea, con soluzioni originali, un’assurda combinazione di scelte riconducibili all’horror e al thriller.
Quando si parla, però, del lavoro di Jordan Peele la soluzione non può essere univoca. Il regista sfrutta gli strumenti cinematografici per proporre un’esperienza che val al di là della semplice visione ma che stimola gli spettatori a cercare significati reconditi e sottotesti inusuali. Intanto, “Nope” alimenta il desiderio del pubblico di tornare nelle sale dopo un lungo periodo di chiusura dovuto alla pandemia ed in più lo induce, proprio come i protagonisti della vicenda, a guardare oltre per avere una visione d’insieme definitiva.
“Get out”, film con il quale Peele ha vinto l’Oscar come migliore scenggiatura ed “Us” sono per certo campioni di anticonformismo e forse “Nope” non riesce a raggiungere il livello di questi due capolavori. Nella penuria di storie attuale è, però, un assoluto faro di speranza. “Nope” soddisfa gli amanti del genere sci-fi grazie a spinte apocalittiche e nel frattempo, ammicca a coloro che si divertono con una buona dose di suspense.
Comunque, come ogni fatica di Peele, niente è come sembra e ciò che viene mostrato nasconde come un velo il crudo realismo di un mondo, quello in cui viviamo, completamente alla deriva. “Nope” è, così, una rappresentazione allegorica della situazione che stiamo vivendo da un punto di vista sociale, emotivo e per giunta politico. Anche nella nostra realtà, un strana entità sembra inghiottirci man mano che andiamo avanti.
Questa può essere identificata nel mostro invisibile della pandemia, nella paura di una guerra sempre più vicina o in quella di una catastrofe ambientale imminente. La superficie del film è quella più immediata e fruibile per coloro che vogliono semplicemente godere di una giornata al cinema. Ma c’è un valore altro lontano dalle logiche dello spettacolo che comunica direttamente con il pubblico e gli suggerisce qualcosa di nuovo, inedito.
Anche in questo film, Jordan Peele non rinuncia alla necessità di condire il suo lavoro con una patina di denuncia sociale dove ogni cosa messa in scena riporta ad un significato più radicato. Intanto, “Nope” mette in evidenza la corsa spasmodica alla ripresa: non c’è nulla che possa fermare la voglia di cogliere l’attimo con lo sguardo inquisitorio della telecamera, neanche il pericolo di morire.
Non solo, Peele attraverso “Nope”, dimostra l’incredibile e sfiancante desiderio degli esseri umani di monetizzare su tutto. La verità dura e schietta è che, anche dalla peggiore tragedia, si può trarre profitto, un guadagno sempre a scapito dei più deboli.
“Nope”, allora, è in questo senso all’altezza dei lavori precedenti di Jordan Peele: un bell’esperimento di critica sociale realizzato con gli scoppiettanti strumenti del cinema. Nella carenza di creatività nell’arte odierna, allora, il lavoro magistrale e minuzioso di Peele può essere un varco di luce.
I suoi film rappresentano una sorta di scoperta costante di una nuova, originale, realtà cinematografica ma, allo stesso tempo, sono una difficile presa di coscienza del delicato peso che noi esseri umani abbiamo nel mondo.
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