C’è molto dramma, un pizzico di divertimento, ma niente cuore in The Gray Man, questa storia si basa tutta su degli assassini della CIA che saltano freneticamente da una località all’altra, i fratelli Russo sanno fare di meglio.
The Gray Man si svolge durante due ore abbondanti di contenuti abbastanza efficienti e lo si può trovare su Netflix: la storia non è male concettualmente, inoltre si vede chiaramente che è stato messa a disposizione un importante budget, il problema è la messa a punto, sembra che manchi qualcosa fin dall’inizio, per esempio il cuore.
Diretto dai fratelli Russo, Joe e Anthony, Ryan Gosling interpreta un assassino della CIA reclutato dalla prigione per un’unità top-secret di operazioni che si svolgono tutte nell’ombra nella così detta zona grigia, proprio per questo anche queste identità sono “uomini grigi” che operano sotto copertura più come macchine che come esseri umani.
Infatti il protagonista è conosciuto solo con il suo nome in codice Sierra Six (le altre scelte sono presumibilmente Cortina Six, Focus Six e Fiesta Six).
Sierra si dà alla macchia quando scopre che i suoi stessi datori di lavoro stanno tramando qualcosa di particolarmente losco, la cui prova è un chip di dati in un medaglione sul corpo di una delle sue vittime: un MacGuffin molto sommario il cui significato esatto dell’essere lì e ora non viene mai chiarito.
Così l’Agenzia invia senza pietà un pazzo psicopatico e appassionato di torture per mettere a tacere Sierra Six: un certo Lloyd Hansen, interpretato in modalità super cattivo e inquietantemente sorridente da Chris Evans con baffi e maglieria da brivido.
Ana de Armas dà il meglio di sé nel ruolo di Dani, l’agente e spalla di Ryan, che non rimane mai un passo indietro nell’azione, anzi si lancia a capofitto. Il losco comandante della CIA è interpretato da Regé-Jean Page, ma il vecchio capo di Sierra, Fitzroy, è un bravo ragazzo, interpretato da Billy Bob Thornton.
Fitzroy ha un interesse paterno per Sierra, perché una volta gli ha chiesto di occuparsi della sua giovane nipote Claire, interpretata dalla tredicenne Julia Butters in un ruolo insipido e banalmente sdolcinato.
L’attrice è del tutto irriconoscibile rispetto al suo glorioso ruolo di precoce attrice bambina in C’era una volta… a Hollywood di Quentin Tarantino, che fa piangere di gioia l’aspirante cowboy di Leonardo DiCaprio lodando la sua performance.
Il film in definitiva passa maniacalmente da un’esotica località famosa per l’evasione fiscale a un’esotica località famosa per evasione fiscale, ognuna annunciata sullo schermo con enormi lettere maiuscole sans serif (VIENNA, PRAGA, BAKU). C’è molta azione goliardica, ma niente cuore e nessuna tensione drammatica. Si poteva fare molto di più, soprattutto con un cast All-star a disposizione.
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