“Bridgerton” è un ciclo di romanzi scritti da Julia Quinn e ambientati in epoca Regency, da cui è stata tratta una serie televisiva per Netflix.
Prodotta da Shonda Rhimes (già creatrice del celebre medical drama Grey’s anatomy), la serie ha per protagonista l’allargata famiglia dei Bridgerton, il cui timone è rimasto nelle mani di Lady Violet, vedova del marito Visconte. I nostri lettori ricorderanno che Violet e Lord Bridgerton hanno avuto otto figli (Anthony, Benedict, Colin, Daphne, Eloise, Francesca, Gregory e Hyacinth) e che ogni romanzo ha per protagonista uno di loro.
La serie, attualmente giunta alla seconda stagione, comincia con l’ingresso nel mondo degli adulti da parte di Daphne, la quale, essendo membro dell’alta società, è “patrocinata” dalla stessa Regina d’Inghilterra.
Bridgerton ha immediatamente riscosso un grande successo e creato attorno a sé una spietata fandom che ne ha suggellato lo status di “cult”. Certamente la presenza di Shonda Rhimes nella produzione ha consentito agli ex fan di Grey’s Anatomy di riappropriarsi dei colpi di scena e degli intrecci amorosi che avevano scosso l’allora Seattle Grace Mercy West Hospital, questa volta però tornando molto indietro nel tempo.
I romanzi di Julia Quinn sono infatti ambientati nell’epoca Regency, coincidente con il primo ventennio circa del XIX secolo: sullo sfondo c’è una Londra ormai ampiamente industrializzata e anche multietnica. I fan hanno subito notato e apprezzato la scelta di un cast variegato, poiché composto da molteplici nazionalità o identità di genere (l’attore che interpreta Anthony Bridgerton, Johnathan Bailey, è dichiaratamente gay, così come Golda Rosheuvel, che interpreta la Regina Carlotta di Maclemburgo). Niente più camici o mascherine chirurgiche, dunque, ma soprattutto guanti, carrozze, strascichi di abiti lussuosi e debutti in società.
Benché la componente “intrattenimento” prevalga sulla veridicità storica e vi siano numerose incongruenze (ne abbiamo parlato qui), Bridgerton è un ottimo ritratto di quella che è stata la cultura del patriarcato in età moderna, ancora piuttosto opprimente in molte delle società a noi contemporanee. Conosciamo dunque alcune caratteristiche circa la rappresentazione del patriarcato in epoca Regency.
Anthony Bridgerton è il più maturo dei figli maschi della famiglia Bridgerton, non solo perché ne detiene la guida dalla morte del padre, occupandosi in prima persona di tutte le decisioni, ma anche perché è un uomo vissuto e fortemente responsabilizzato.
Naturalmente, troppe responsabilità – pubbliche e private – rischiano di incrinare la capacità di resilienza, cosa che porterà Anthony a desiderare più di una volta una via di fuga, come quando bada controvoglia alla contabilità interna o alla pianificazione del matrimonio di sua sorella Daphne.
Segretamente innamorato di un’attrice e cantante lirica, Anthony ne è letteralmente rapito ma in cuor suo sa di non poter assumersi l’onere di elevare il rango della sua amata, giudicata dalla dubbia moralità dai più. Il dovere richiesto dal patriarcato di essere inappuntabile ha sempre la meglio, anche quando si trova malvolentieri coinvolto in un duello con il Duca di Hastings, promesso sposo a sua sorella.
Anthony deve essere sempre pronto a reagire agli ostacoli, che non danno alcun preavviso e in quanto tali possono destabilizzare anche la psiche di un uomo altamente risoluto. Il suo unico scopo è quello di assecondare una personalità calcolatrice anche a costo di reprimere un silenzioso e sofferto dilemma interiore, purché eviti scandalo alla sua amata famiglia.
Se il patriarcato esige da un uomo di famiglia un’alta dose di virilità, orgoglio e capacità di abnegazione, quasi lo stesso si può dire per una donna, della quale andranno necessariamente valorizzate la mitezza, la ferrea obbedienza ma, soprattutto, la castità. Questi tre attributi sono perfettamente incarnati nel personaggio di Daphne, la quartogenita del defunto visconte Bridgerton e Lady Violet.
Innanzitutto, Daphne ama i bambini, ed è giusto così poiché in una società patriarcale il destino di ogni donna è quello di assecondare la sua “natura” di madre; benché testarda, Daphne non metterebbe mai in difficoltà la famiglia, e farebbe di tutto per portare a termine il suo destino di donna maritata e madre devota.
Infine, la sua cieca obbedienza al rispetto dei doveri la rende, sì, un esempio di virtù per le altre giovani aristocratiche ma ne fanno una persona molto ingenua, al punto da non capire subito certe dinamiche nei rapporti interpersonali.
In una società come quella patriarcale, le madri tengono all’oscuro le figlie promettendo loro protezione dalle malelingue e dalla consapevolezza sessuale. Daphne non sa di cosa è capace il suo corpo, finché non è il Duca di Hastings a sollecitarla a conoscersi meglio.
Non sa in che modo una donna può rimanere incinta, infatti a matrimonio fatto si rivolge coraggiosamente a una cameriera per sapere cosa implica la penetrazione durante l’atto sessuale. Educata all’ignoranza, Daphne non ottiene delucidazioni nemmeno dalla persona a lei più vicina, sua madre, la quale a sua volta ricevette lo stesso tipo di educazione.
Pertanto, a farne nuovamente le spese, è la libera capacità di autodeterminarsi a scapito di una condotta totalmente conforme alla collettività. E, nonostante non manchino gli spiriti ribelli pronti a remare contro i doveri imposti dall’alto (è il caso della quintogenita Eloise, lettrice accanita, fumatrice segreta e donna indipendente), in quel mondo altolocato e benestante era illusorio credere di potersi svincolare dagli obblighi sociali.
Il lascito di Bridgerton è maggiore di quel che si possa credere. L’insegnamento che ne possiamo trarre noi uomini e donne di oggi è che nessun essere umano può accettare a lungo andare la sottomissione della propria volontà a quella degli altri, perché ognuno di noi è dotato di una intelligenza e libertà proprie.
Sotto questo aspetto, gli eventi che si sono susseguiti dopo l’epoca Regency (i moti rivoluzionari di fine Ottocento, le due guerre mondiali e persino il Sessantotto) hanno finalmente fatto sì che l’inalienabilità del diritto all’autodeterminazione non fosse più solo un concetto ma un dato di fatto. Dopo tanta repressione fisica e mentale, giunge sempre una resa dei conti, tanto più liberatoria quanto opprimente è stato il grado di subalternità.
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