A meno di un anno dalla presentazione di Qui rido io alla Mostra del Cinema di Venezia, Mario Martone torna a raccontare Napoli, questa volta nella contemporaneo con Nostalgia, tratta dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea.
Pierfrancesco Favino è Felice, un uomo originario del quartiere Sanità che ritorna a Napoli dal Cairo dove ha vissuto una vita molto diversa da quella del quartiere e molto lontana, eppure fin dal primo giorno che mette piede nella sua terra sente il richiamo del passato e di tutte le questioni in sospeso lasciate anni prima.
Nel famosissimo film Stand by me di Rob Reiner, anche quello tratto da un romanzo, The body di Stephen King c’è una frase che riassume la storia e che mi tornava in mente durante la visione del film di Martone: Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?
Perché in Nostalgia, e forse la parola un po’ lo riassume, non c’è solo il ritorno alla terra natia e al passato, di cui appunto si può essere nostalgici ma anche un importante discorso sull’amicizia. Felice aveva un amico, un ragazzo al quale era legatissimo e che oggi nel Rione è conosciuto come O malomm’, figura sinistra dalla quale si tengono alla larga tutti.
Ebbene il film di Reiner e quella frase sull’amicizia mi sono tornati in mente in questo dolce, malinconico e nostalgico film di Martone perché ho riflettuto su una cosa che succede sempre nella vita di tutti e che a volte passa in secondo piano: quanto cambiano i rapporti nel tempo? Quanto siamo diversi da quelli che eravamo a 15 anni?
Rispetto ai personaggi di Stand by me infatti, quelli di Nostalgia avevano 15 anni nel passato al quale si fa riferimento e nel presente hanno superato i quaranta. Più volte Felice fa riferimento al se stesso quindicenne come se fosse altro da sé, come se parlasse di una persona diversa. Da adolescente era il tipico ragazzo del Rione che stava sempre in mezzo a una strada e ne combinava di tutti i colori, oggi è un uomo sposato, con una posizione sociale ma soprattutto ha sposato la cultura araba e ha cambiato religione.
Un aspetto interessante, a proposito della provenienza del personaggio all’inizio del film è la sua transizione dall’arabo al napoletano man mano che la storia procede avanti e da questo punto di vista Pierfrancesco Favino ha fatto un lavoro eccezionale riproducendo un accento straniero all’inizio e parlando due lingue, l’arabo all’inizio e il napoletano alla fine, perfettamente. Dal mio punto di vista si conferma come uno dei migliori attori che abbiamo oggi e riesce sempre a stupire positivamente anche e soprattutto quando si accosta a personaggi distanti, diversi da quelli che interpreta solitamente.
Tommaso Ragno interpreta Oreste, il migliore amico di Felice, il suo legame con il passato, il richiamo alla vita di una volta e anche in questo caso siamo di fronte a un’interpretazione magistrale. In generale il cast vanta nomi importanti, fra tutti un’altra interpretazione che ho amata è stata quella di Francesco Di Leva nel ruolo di don Luigi, il prete di quartiere che esce dai confini della chiesa e vive la Sanità mettendo le mani in pasta e agendo anche fuori dai classici schemi ecclesiastici.
E poi c’è Napoli che non si limita mai ad essere semplicemente un luogo perché lei è viva, pulsa di vita, suoni, anime, odori e tanto altro e anche in questo film Martone l’ha saputa raccontare perché l’ha mostrata così com’è nella sua verità senza fare la cartolina, pur inserendovi dei tratti distintivi della sua identità e allo stesso tempo senza fare Gomorra, malgrado di criminalità ce ne sia molta considerato quanto accade. Per dire, Felice, uscendo da casa della mamma a tarda sera si ritrova testimone di una sparatoria messa in pratica da una baby gang.
Attenzione però, di Napoli se ne vede solo una porzione, non usciamo mai dalla Sanità e da Capodimonte, tranne per una parentesi al mare dove gli autoctoni potrebbero riconoscere il litorale di Castelvolturno. Questa Napoli è di fatto un microcosmo a parte, un mondo indipendente in cui lo Stato non è presente e vi sono delle gerarchie e delle leggi interne di un certo tipo. Potremmo considerarla come una banlieue o una favela, insomma uno di quegli ambienti con regole proprie.
Tutto ciò ci dà la misura di quanto sia eterogenea la città, ci ricorda che ogni quartiere è come una micro città a parte e che se dici Napoli non dici per forza piazza del Plebiscito, i Tribunali e San Domenico Maggiore, che se dici Napoli una volta non l’hai detta tutta e quando racconti una storia in un quartiere, quella stessa storia non sarà la stessa in un altro quartiere della stessa città.
Nostalgia di Mario Martone, può sembrare retorico dirlo, è un film che ti lascia tanta nostalgia appunto, una storia che con dolcezza e malinconia ti entra dentro, lentamente e tu ti ritrovi immerso fino al collo da un momento all’altro. Il film infatti si prende tutto il tempo per raccontare questa storia, si sofferma sui dettagli, gli sguardi, le strade, gli occhi di Felice, lo “straniero”, straniato, che ritorna in patria e si capisce dai suoi occhi che la sua terra gli è sempre rimasta dentro e che malgrado sia cambiato tornare a casa vuol dire tornare un po’ quello stesso adolescente di 15 anni che era stato.
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Non è forse questo che ci succede quando torniamo a casa nostra dopo un lungo viaggio?
Nostalgia a mio avviso ha qualcosa di L’amore molesto, film del 1995 che girò lo stesso Martone e anche in quell’occasione da un libro, quello omonimo di Elena Ferrante dove si vedeva appunto una persona che tornava a Napoli dopo una lunga assenza e anche in quel caso il passato bussava forte alla sua porta come il destino della Quinta di Beethoven.
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Nostalgia ti fa pensare a casa, alla famiglia e all’amicizia e a quanto possa essere insidiosa, drammatica e infelice a volte, più che l’amore.
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