Syk Pyke per Un Certain Regard al Festival di Cannes. Fin dove può spingersi il narcisismo? Recensione
Fin dove può spingersi il narcisismo di una persona? Ce lo racconta Kristoffer BORGLI con il suo Syk Pyke (Syk of myself) presentato nella sezione Un certain regard della 75a edizione del Festival di Cannes.
Il titolo inglese è molto eloquente, Syk of myself, siamo nella sfera del narcisismo puro, una donna in forte competizione con il partner non riesce a vivere le situazioni in cui viene messa da parte e quando accade deve attirare l’attenzione, è più forte di lei.
Signe e Thomas sono i protagonisti della storia e vivono una relazione malsana e competitiva che prende una svolta viziosa e macabra quando Thomas raggiunge improvvisamente la fama come artista contemporaneo. Signe non può sopportare di essere messa in ombra dal fidanzato e inizia così una serie di folli tentativi di riconquistare il suo status creando una nuova persona decisa ad attirare l’attenzione e la simpatia di tutti. L’obiettivo è restare al centro dell’attenzione.
Dal punto di vista clinico potremmo parlare di disturbo narcisistico della personalità, quello che si verifica quando il soggetto in questione soffre, vive una condizione di malessere se viene messo da parte. Sicuramente il personaggio di Signe in questo film soffre di narcisismo a livelli patologici e lo dimostra arrivando a fare cose terribili che sfociano dalla malattia mentale a quella fisica.
Ogni tentativo di Signe di superare il fidanzato nella gara a chi è più importante non è mai sufficiente e Signe si spinge sempre più in là fino a compromettere per sempre la sua salute.
Il film è una commedia e il narcisismo della protagonista viene trattato con ironia, le risate non mancano e sicuramente Syk Pyke è uno dei film più interessanti della sezione. Ma non posso non sottolineare il senso di angoscia che ho provato nel guardarlo, la brutalità dell’agire di questo personaggio la rendono insopportabile, a un certo punto fa paura lei e il suo modo di fare e se inizialmente tutta la situazione è divertente con il procedere del film diventa sempre più sgradevole.
Credo che il grottesco e il gusto dell’orrido fossero uno degli obietti del regista che praticamente ha preso La cosa di Carpenter e l’ha trasformata in commedia. Il riferimento a questo classico dell’horror sembra non c’entrare nulla con il film di cui parlo, ma per le sembianze che assume la protagonista nel corso della storia in realtà è il primo film che mi è venuto in mente.
Il corpo, martoriato, usato, malato, in metamorfosi, si potrebbe considerare come un altro protagonista del film. Il corpo di Signe subisce una vera e propria mutazione, una mutazione che deriva dall’assunzione di un medicinale molto potente i cui effetti collaterali le cambiano letteralmente i connotati.
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Ci sono alcune dicotomie Signe e il fidanzato, Signe e la società, Signe e il suo corpo, è sempre lei contro tutti e deve vincere su tutti i campi di battaglia in cui il suo ego cerca di affermare se stesso finendo per essere vinta su ogni campo di battaglia.
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Signe perderà fidanzato, status sociale e salute per ritrovarsi a fare un percorso di terapia e di recupero della propria vita; non ha caso l’ultima battuta del film è “amo la vita”.