Presentato nella sezione Un Certain Regard di Mathieu Vadepied il film Tirailleur con Omar Sy che interpreta Bakary Diallo un senegalese che nel 1917 si arruola volontariamente nell’esercito francese per seguire il figlio che è stato preso con la forza per andare a servire lo Stato francese.
Da questo momenti in poi padre e figlio si troveranno in trincea insieme per combattere contro i tedeschi nel vano tentativo di sottrarsi a una guerra nella quale non vedono motivazioni né vantaggi.
Raccontata così questa storia mi ha ricordato per certi versi la storia di Una vita è bella di Roberto Benigni in cui, come tutti ricordiamo, padre e figlio si ritrovano testimoni e vittime degli orrori della guerra. Naturalmente il paragone è fatto con le dovute differenze, ma Tirailleur racconta sostanzialmente lo stesso argomento: c’è la guerra e un padre cerca di salvare suo figlio.
In questo caso il figlio è maggiorenne e nel corso di questa tragica e sconvolgente esperienza faccia a faccia con la Grande Guerra, in trincea accadono cose inaspettate, per esempio che il figlio Thierno salga di grado è diventi addirittura superiore di suo padre. Per giunta Thierno inizia a simpatizzare con un suo superiore lasciandosi plagiare dal suo delirio di onnipotenza e potremmo dire che ci prende anche gusto nella carriera militare.
Il film ha un’atmosfera che ricorda, per fare un altro riferimento al cinema, a 1917 in cui viviamo la trincea in prima linea con i personaggi che la abitano e in cui osserviamo gli scontri corpo a corpo tra i soldati.
L’aspetto interessante di questo film è che in questo caso i protagonisti sono di colore e ciò ci porta a riflettere su un dato storico da non sottovalutare. Il mondo in quei primi anni del Novecento era ancora composto da colonie e se tu ne facevi parte sostanzialmente eri di proprietà del popolo colonizzatore.
Le prime immagini di Tirailleur ci mostrano un uomo che porta le mucche al pascolo nella sua terra di origine dove ha una famiglia e vive in pace. Dal suo punto di vista non ha alcun senso imbracciare il fucile e scendere in battaglia contro i tedeschi perché loro non gli hanno fatto niente e tantomeno lui. Ma se il padrone colonizzatore ha bisogno di uomini per la battaglia allora deve obbedire.
Questo articolo è una sequela di citazioni e riferimenti ad altro, ma anche in queste prime scene, la storia mi ha ricordato Il Gladiatore, anche lui costretto in questo a tornare caso in battaglia per motivi familiari.
Il personaggio interpretato da Omar Sy è il pacifico persistente, un uomo che si sente forte se circondato dagli affetti e che mai cambierebbe lo status quo della sua vita se non vi fosse costretto. Il suo agire è una reazione a un richiamo esterno, in questo caso l’arruolamento forzato del figlio.
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Ancora una volta in questi primi giorni del Festival di Cannes assisto a una rappresentazione del rapporto padre – figlio, e oltre ad essere dinamico dall’inizio alla fine e a non perdere mai mordente il film è anche emozionante e dal punto di vista visivo è piacevole, la fotografia è onesta, vera e narrativa e Omar Sy ha confermato ancora una volta il suo talento nell’interpretare i ruoli più disparati.
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In questo caso Sy è anche produttore del film e il lavoro è dedicato appunto ai Tirailleurs senegalesi, il corpo di fanteria coloniale dell’esercito francese, ai caduti di quel corpo di fanteria le cui spoglie sono state portate all’Arco di Trionfo in memoria ai caduti.
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