“Contro l’antimafia” di Giacomo Di Girolamo: uno sguardo a quell’altra parte
“Contro l’antimafia” è il libro che Giacomo Di Girolamo dedica a quella parte che si oppone alla mafia, l’antimafia. Un libro forte, un libro – testimonianza che va letto.
Questa è una recensione un po’ diversa dal solito. Ho deciso di spiegare e di provare a raccontare il libro “Contro l’antimafia”, edito da Il Saggiatore, rivolgendomi direttamente all’autore Giacomo Di Girolamo.
Una sorta di lettera aperta. Nella sua attività di giornalista e di scrittore, questo autore si rivolge spesso a Matteo Messina Denaro, boss di Cosa Nostra latitante dal 1993, usa il “tu”, gli parla apertamente con la scrittura. Per descrivere “il libro più difficile di tutta la mia vita” come lo definisce lo scrittore nei ringraziamenti, ho immaginato Giacomo, davanti a me in questo lungo viaggio che da “L’invisibile” a “Cosa Grigia” è approdato nel territorio comune ed estraneo di quella che viene definita antimafia, la terra di tutti ma abitata da nessuno. E ho pensato di scrivergli così.
Giacomo, eccoci arrivati all’ultimo tratto, quello tra i più faticosi, ripidi, che sembra non finire mai, quello che ti ruba l’ultimo goccio di ossigeno e di energia: l’antimafia, la cosiddetta parte dei più buoni, che si oppone alla mafia, vessillo di giustizia e legalità, unione di intenti e azione opposta al sistema organizzato criminale. Mi sono resa conto, leggendoti, che le cose non sono mai state come pensavo, che ci sono fatti e storie che ignoro, spiegazioni mai dette, una specie di doppia porta dietro alle diverse dimensioni di questo marasma che definiamo antimafia.
Tu, Giacomo, l’hai presa e l’hai scomposta nelle sue molteplici parti: hai spezzato i tasselli del puzzle statico, immutabile, perfettissimo dell’antimafia per riconsegnare un’immagine diversa, più vera di ciò che l’antimafia è oggi, più vicina alla vita fatta di delusioni, sconfitte, apparenze, indifferenza e solitudine. Altro che lotta, legalità, giustizia, destino comune, vittoria.
Per me, proveniente dal Nord, lontana, cresciuta in un piccolo paese dove ogni giorno è uguale all’altro, dove le notizie scorrono scivolando addosso alla routine, è difficile trascrivere e spiegare il cambiamento che ho sentito. Sapere che c’è tanto altro e vivere come se non esistesse “quell’altra parte”. Un esempio? I miti dell’antimafia, i “vip”, l’associazione Libera di don Ciotti, il sistema delle confische dei beni della mafia, il caso Silvana Saguto, i supermercati e il loro “re” Grigoli, la generalizzazione inutile, lo storytelling antimafioso che è la sua stessa sconfitta, “l’avvocato delle mie parti civili”, i progetti nelle scuole…quante testimonianze riporti Giacomo, quanti fatti (accertati e documentati), quanti casi, persone descritti con uno stile diretto, a tratti duro, sofferto, vivente della tua esperienza.
Di nuovo quel perché nella testa, quel com’è possibile, perché deve succedere, perché deve essere così: visibilità, pubblicità, notorietà (scrittori, avvocati, magistrati, PM che diventano icone), la fame schifosa e insaziabile dei soldi che offusca il pensiero, la verità, la missione.
Nel tuo libro hai accostato l’antimafia a tante immagini, a diversi pensieri per sviscerare la sua vera natura. A me è venuto in mente questo paragone: l’antimafia come la carta del jolly, noi la chiamiamo “la matta” che sostituisce qualsiasi carta del mazzo. Ecco oggi l’antimafia potrebbe essere anche questo: la combinazione azzeccata, il colpo di fortuna al momento giusto, la trasformazione di ciò che fa “al caso mio”, l’azione comoda e pratica per raggiungere l’obiettivo, vincere la partita. Gli amministratori dei beni giudiziari, le associazioni antiracket, le cooperative, le parti civili non calano forse la carta jolly dell’antimafia per legittimarsi, accaparrarsi, aggiudicarsi, esibirsi, nutrirsi?
L’antimafia che sta bene con tutto, che si indossa come accessorio strategico per attirare e conquistare. Tutto è retorica, ripetizione, ritualità che si ripete, circolo vizioso che dovrebbe concentrarsi su un unico centro, la sua stessa negazione, la mafia. L’antimafia non riconosce e non distingue più i mutamenti, la configurazione di quella che definisci Cosa Grigia, la mafia oggi da Nord a Sud, che si nasconde e veste ruoli diversi dal passato, con fini e scopi che si radicano in Cosa nostra ma che ne sono lontani. Una mafia che beneficia dell’ambiguità, del potere, del nascondimento. Una scala di grigi che confonde e passa inosservata. L’antimafia è ferma, bloccata, giudicante, esclude chi prova a bloccare la situazione, chi prova una strada diversa.
Giacomo, tu dimostri che l’antimafia ha perso, fatta da idoli, dalle “statue moai” fisse, lo attesti con le tue pagine e la tua stessa vita. Ha vinto l’invisibilità di Matteo Messina Denaro, l’impunità, l’indifferenza miste al silenzio di coloro che fanno e sanno ma anche di chi si tiene alla larga, nel disinteresse, non lo vede quel grigio ma ci vive dentro, alla cieca. Lo dici spesso che questo libro è una lettera di resa e che Messina Denaro ha vinto. Anch’io percepisco questo enorme scarto, questa squilibrata differenza tra la mafia silente e un’antimafia superficiale, fatta di slogan, citazioni, concetti volatili come legalità e giustizia, gare, cortei e distanze abissali.
Me ne rendo conto quando faccio vedere l’articolo sul tuo libro “L’invisibile” ad una mia amica: lei mi guarda, guarda la copertina con un giovane Matteo Messina Denaro e i suoi famosi occhiali a goccia, e mi chiede: “Chi è questo?”. In questa sua domanda rivedo le tue parole, Giacomo, risento dentro il rimbombo dell’ineluttabilità della vita che scorre, della sua amara ironia, della conoscenza che non c’è. Tu sei un giornalista e riporti episodi di allontanamento, di chiusure vissute, quella solitudine che a volte significa rassegnazione, significa accettazione che la tua città (il portinaio o il tuo ex sindaco) non ti vogliano, che la gente non si fidi, ti tenga alla larga e ti escluda, l’incomprensione di ciò che fai.
Nonostante tutto, la tua scrittura va oltre, sopravvive e si scontra contro questi innumerevoli muri, contro queste vie che sembrano sempre senza uscita: ecco perché occorre leggerti, occorre conoscere e capire. Le tue pagine sulla memoria sono fortissime, vere. I miei perché sono nati esattamente qui.
Tra un articolo e l’altro, guardo fuori dalla finestra e penso a ciò che c’è fuori, a quello che tu riporti, alle persone che racconti: le urgenze della scrittura sono queste. Tu dimostri che si può fare tanto altro con coraggio e volontà. “Contro l’antimafia” è stato anche per questo il mio cammino introspettivo, su me stessa e su ciò che quotidianamente faccio, una rivalutazione profonda e inaspettata.
Non c’è vincitore o vinto, resa o successo, la spartizione netta e definitiva se al mondo ci saranno persone che continueranno ad insistere, a raccontare, a documentare questa realtà in tutte le sue direzioni.
E quindi meno male…meno male che sei in radio e parli a Matteo, meno male che ci sono i tuoi libri e gli articoli, meno male la tua ultima uscita “Matteo va alla guerra”, meno male…C’è sempre meno male quando la scrittura diventa specchio della realtà, quando si entra davvero in essa per raccontare le persone e i fatti per quello che sono. Solo così la realtà sopravvive, viene riconsegnata, riconosciuta così com’è. È la vita di tutti noi.