Cinema

Matrix Resurrections, Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss fanno scintille nel nel reboot utopico. Recensione

Un nuovo mondo soleggiato chiama a rapporto Neo e Trinity in questo quarto capitolo di uno dei più grandi classici della fantascienza, consapevole ma intelligente.

Quando si tratta di sequel, specialmente quelli rilasciati quasi due decenni dopo l’originale, può essere difficile bilanciare la sensazione e il tono dell’opera originale portandola anche nel presente. Nel 2021, cosa ha Matrix Resurrections – il quarto capitolo del franchise di Matrix e il primo diretto da uno solo delle sorelle Wachowski – da dire che la trilogia originale non ha già fatto in passato? Come riuscire ad evolve i suoi personaggi in modo autentico

Diretto da Lana Wachowski da una sceneggiatura co-scritta dalla stessa, David Mitchell e Aleksandar Hemon, The Matrix Resurrections racconta una storia nuova ma familiare, una storia si che chiede dove i protagonisti appartengono veramente in questo mondo. Mentre è profondamente nostalgico, The Matrix Resurrections ha qualcosa da dire sul vivere nel passato e sulle difficoltà di andare avanti.

Due decenni dopo gli eventi di Matrix e dei suoi sequel, The Matrix Reloaded e The Matrix Revolutions, Thomas Anderson (Keanu Reeves) lavora in una società che progetta videogiochi. Il loro gioco più popolare è, naturalmente, The Matrix.

Mentre cerca di concentrarsi sul lavoro e va da incontri regolari con il suo terapista (Neil Patrick Harris) e la sua mente confonde le linee della realtà, Thomas non riesce ancora a provare la sensazione che qualcosa non va. Tutto cambia quando una donna, Bugs (Jessica Henwick) e la sua squadra cercano di estrarre Thomas (il cui vero nome è Neo, solo lui è scioccato di questo) da quella che crede essere la sua vita, solo per lui scoprire che il motivo per cui lui e Trinity (Carrie-Anne Moss) sono tornati è più sinistro di quanto pensasse.

Come è il caso di ogni entrata nel franchise di Matrix, The Matrix Resurrections ha molto materiale su cui lavorare, ma sembra prosperare nel caos generale senza mai perdere la sua connessione con la trama. In alcuni ponti le spiegazioni sono fin troppo esagerate tanto che gli spettatori dovranno rivedere i precedenti film o scegliere di seguire il flusso e proseguire. A tal fine, le scene espositive, che arrivano a metà film, rallentano molto la storia.

La trama ad un certo punto sembra perdere un po’ di intensità e divaga leggermente prima di riprendersi per un finale coinvolgente. Matrix Resurrections non è privo di una pesante dose di nostalgia, che, secondo Morpheus (Yahya Abdul-Mateen II), allevia l’ansia.

In certi casi, è troppo concentrato sul passato ed è reverenziale fino all’eccesso (un aspetto che piò piacere sono ai nostalgici del primo film), spesso facendo fatica a vedere il futuro attraverso i suoi più grandi successi. Anche l’azione è sottotono, non manca di certo ma è lontana dal primo film, che ha portato qualcosa di completamente nuovo al genere.

Mentre Matrix Resurrections sapevamo che non sarebbe mai stato all’altezza del suo predecessore, in questo caso possiamo paragonarlo solo la primo capitolo, ma ha saputo essere comunque coinvolgente fino alla fine, un impresa che rischiava invece di essere un fallimento.

Il sequel sicuramente diventa più eccitante e divertente verso la meta, ci sono un sacco di commenti e battute che sono auto-consapevoli e autoreferenziali, e suscitano il divertimento generale. Fondamentalmente, il bello del film è che riesce a prende in giro se stesso, il tutto mentre Neo è seduto in mezzo a questa storia della sua vita.

Ma dopo 20 anni di attività, dove si colloca veramente? Cosa sta facendo della sua vita e i suoi giorni migliori alle spalle? La natura personale della sua crisi e il modo in cui si lega alla trama generale è simbolica e destinata a far riflettere sulla propria vita nel tentativo di trovare un significato. Il film si appoggia alle idee su quello che sono le scelte, il controllo e il libero arbitrio.

Le persone vogliono essere controllate? Sono più disposte ad assecondare la farsa e il conforto che la finzione porta loro quando la realtà delle loro vite è così squallida? Questi temi vengono portati a galla proprio attraverso Neo e Trinity che riescono a trasformare i pensieri in parole e azioni.

Il film introduce un sacco di personaggi nuovi e interessanti, anche se tutti rimangono saldamente monodimensionali, con pochi sforzi fatti per espandere le loro vite oltre la loro missione e questo è un vero peccato.

L’attenzione, infatti, non si allontana mai da Neo e Trinity, che è francamente (e sorprendentemente) poco sfruttata. La coppia è stata al centro del franchise fin dall’inizio e Matrix Resurrections capitalizza la loro relazione, la storia e la scintilla che è sempre esistita tra loro. La chimica di Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss è ancora intensa e l’amore che i personaggi hanno l’uno per l’altro è in definitiva la forza trainante del film.

La Wachowski capisce la profondità della loro relazione, così come l’importanza del loro legame, il che rafforza immensamente la storia e dà a The Matrix Resurrections una delle migliori storie d’amore fantascientifiche da un po’ di tempo a questa parte. Il loro amore reciproco è centrale nel film e non si può fare a meno di tifare per loro.

Il film è rafforzato dal cast – in particolare, il turno di Jessica Henwick come Bugs aiuta a radicare il film e Jonathan Groff come una nuova versione di Smith, la nemesi di Neo, interpreta il paesaggio nel modo migliore. Neil Patrick Harris nei panni dell’analista è ben inserito nel cast, le sue interpretazioni umoristiche e quelle di Groff fanno certamente un ottimo lavoro per dare spessore a questi personaggi.

Yahya Abdul-Mateen II fa un buon lavoro come Morpheus, e la spiegazione del perché ha un aspetto diverso ha senso, ma è difficile scuotere l’influenza di Laurence Fishburne dal franchise, anche se l’attore fa del suo meglio per farlo suo, per noi Morpheus è solo uno.

Per molti aspetti, The Matrix Resurrections fa quello che altri sequel del franchise non riescono a fare: raccontare una storia su dove i personaggi si trovano dopo tanto tempo e dove stanno andando. Come storia su Neo e Trinity, il quarto capitolo di Matrix funziona, mentre cerca di fare riferimento al passato e di andare avanti allo stesso tempo.

Può indugiare troppo a lungo nel passato, a volte mostrando troppo di ciò che ha reso il franchise così buono, forse è però è proprio questo che lo rende speciale, è incoraggiante nella sua esplorazione del fare scelte e della paura di lasciarsi alle spalle il comfort e la compiacenza. L’azione può non essere affatto quella di una volta, ma il franchise ci mette ancora un sacco di cuore.

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